L'ARTICOLO DEL MESE

Fucili in pagina di Germana Paraboschi

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La Prima Guerra Mondiale e i conflitti raccontati nella narrativa e nell’illustrazione per ragazzi. Un percorso.

DI GERMANA PARABOSCHI – Le mie riflessioni sui libri per ragazzi dedicati alla Grande Guerra hanno seguito, fin dal loro esordio embrionale, due linee principali. Da un lato la possibilità che questo centenario offre di costruire percorsi interdisciplinari tra storia e letteratura. Dall’altro lato, e soprattutto per le scuole secondarie di primo grado, occorre a mio parere insistere affinché venga utilizzata la letteratura per ragazzi, che, come cercherò di dimostrare in questo articolo, offre numerosi spunti di riflessione e grandi possibilità di approfondimento storico.
Innanzitutto in molte opere dedicate alla Grande Guerra è possibile rintracciare la descrizione del carattere particolarmente feroce di quell’evento. Emilio Lussu (Un anno sull’Altipiano, Einaudi, 1945, ristampato nel 2014) James Riordan (La notte in cui la guerra si fermò, Mondadori, 2014), Michael Morpurgo (War Horse, Rizzoli, 2011, ora nella collana Best BUR, 2014), descrivono efficacemente la durezza della vita di trincea, le condizioni disumane di vita dei soldati. Ma attraverso i libri per ragazzi è possibile anche enucleare alcune delle caratteristiche salienti di questa guerra. La grande storia viene quindi appresa non attraverso la memorizzazione di date, luoghi di battaglie, nomi di generali, ma la si comprende appieno nel suo riverbero sulla vita dei soldati, di uomini comuni.

La Grande Guerra, è ripetuto da molti, fu la prima guerra della modernità, e il suo carattere innovativo prese tutti di sorpresa. Michael Morpurgo in War Horse ce lo racconta dal punto di vista di un cavallo, Joey, acquistato per diventare parte della cavalleria, secondo schemi strategici propri dell’Ottocento. Ma in una guerra di trincea, con reticolati di filo spinato a intralciare l’avanzata, la suddivisione tra fanteria e cavalleria appare improvvisamente superata. Joey finisce quindi per diventare cavallo da tiro, trainando viveri, o cadaveri. Le sue condizioni di vita sono quelle dei soldati in trincea: nessun ricovero notturno, freddo, pioggia, poco cibo. Attraverso i diversi incarichi del cavallo, il lettore viene introdotto alle peculiarità di questa guerra, e soprattutto alle nuove armi, le mitragliatrici, i cannoni, i carri armati.
Gli aerei ce li racconta invece Christian Hill ne Il volo dell’Asso di Picche (Einaudi Ragazzi, 2014), un libro forse un po’ troppo militarista, che dimentica il ruolo soprattutto propagandistico dell’aeronautica nella Grande Guerra, ma che ha il merito di far comprendere come i mezzi usati in quell’evento bellico fossero qualcosa di ancora molto artigianale, in cui tutte le operazioni, compreso la sganciamento di bombe, doveva avvenire a mano.
Sonya Hartnett, L’asinello d’argento (Rizzoli, 2010)  ci racconta invece, in alcune dense e feroci pagine, la crudeltà dei tentativi di avanzata, delle sortite fuori dalla trincea per sorprendere il nemico e guadagnare pochi metri di terreno. Le illustrazioni che accompagnano le pagine rendono l’idea di un bagno di sangue collettivo, che rende temporaneamente cieco il protagonista, il luogotenente Shepard, e lo porta a disertare il campo di battaglia.
La diserzione, l’obiezione di coscienza, la decimazione, la fucilazione per disobbedienza agli ordini e vigliaccheria, sono altri temi importanti che ritroviamo in molti libri per ragazzi. Primo fra tutti in Michael Morpurgo ne La guerra del soldato Pace (Salani, 2005, purtroppo non ristampato in questa occasione), che consente anche di comprendere quali condizionamenti potevano essere messi in atto per forzare ad un arruolamento “volontario”. Le pagine del rifiuto di Charlie di obbedire ad un ordine suicida e quelle del suo processo e della sua condanna sono molto intense. Non a caso questo romanzo, assieme a War Horse, è quello più utilizzato nelle scuole inglesi, nelle quali essi servono anche come base per uno studio grammaticale, linguistico, stilistico, come vere e proprie (quali sono) opere di letteratura. Di obiezione di coscienza, e delle conseguenze di tale gesto di rifiuto, parla anche John Boyne, Resta dove sei e poi vai (Rizzoli, 2013), mentre la decimazione si trova in Lussu, Un anno sull’Altipiano.

Nella Grande Guerra si visse un paradosso, ben riassunto nell’albo illustrato di Davide Calì e Serge Bloch Il nemico (Terre di mezzo, 2014): da un lato il nemico era rappresentato come il male assoluto, un barbaro da respingere e schiacciare. Dall’altro la vicinanza delle trincee consentiva di coglierne l’aspetto irrimediabilmente umano. Emilio Lussu racconta di aver mirato ma di non essere riuscito a sparare ad un sottoufficiale nemico che stava bevendo ignaro il suo caffè. Ma come considerare la fraternizzazione con il nemico? E come comportarsi quando un grande numero di soldati stabilisce una tregua non ufficialmente dichiarata con la parte avversa? Vi furono alcuni episodi di questo tipo, come ci raccontano James Riordan, La notte in cui la guerra si fermò (Mondadori, 2014) per il fronte occidentale e Guido Sgardoli, Il giorno degli eroi (Rizzoli, 2014) per il fronte italiano. Nel 1914, vicino a Ypres, inglesi e tedeschi nella notte di Natale piantarono alberi e giocarono a pallone nella terra di nessuno. A farne le spese fu il sottufficiale più alto in grado presente, che venne processato e fucilato. Sgardoli costruisce attorno a questo evento avvenuto sul fronte del Piave un romanzo complesso, filologicamente e storicamente molto accurato, che si ferma a riflettere sull’evoluzione del significato di “eroe” nella coscienza del protagonista Silvio, il cui sguardo diventa quello del lettore, fino all’emozione delle ultime righe.

ohn Boyne, in Resta dove sei e poi vai (Rizzoli, 2013) riflette su altri due aspetti: da un lato le ripercussioni della guerra sui civili, sulle donne e sui bambini rimasti a casa in condizioni economiche spesso difficili, e dall’altro le conseguenze della continua tensione, del terrore, del suono assordante delle esplosioni, sulla mente dei soldati. Si calcola che, solo in Italia, almeno 70.000 soldati furono ricoverati in quelli che allora venivano chiamati nevrocomi per “nevrosi di guerra”. E come la medicina, che imparò a curare molte ferite e sviluppò l’arte delle protesi per i mutilati, anche la psichiatria dovette riconsiderare l’assunto secondo il quale le malattie nervose avevano un fondamento genetico, e quindi cercare di sviluppare delle terapie adeguate.
Come abbiamo visto vi sono molte opere scritte da autori inglesi, e quindi riguardanti il fronte occidentale. Per quanto riguarda invece il fronte italiano dobbiamo osservare che, a parte l’opera notevole di Guido Sgardoli, si è preferito raccontare la guerra scegliendo sempre protagonisti molto giovani, e quindi privilegiando situazioni più periferiche, come Lia Levi in Cecilia va alla guerra (Piemme, 2007, ripubblicato in una collana speciale dedicata alla Grande Guerra nel 2014) e Luisa Mattia, in Hemingway e il ragazzo che suonava la tromba (Piemme, 2014),  oppure facendo compiere a ragazzi imprese eroiche piuttosto inverosimili, come ne Il volo dell’Asso di Picche (Einaudi Ragazzi, 2014) e Ave Gagliardi in Amici su due fronti (Piemme, 2014). La grande Storia diviene invece storia familiare in due piccoli racconti, quello di Annamaria Piccione, Una rosa in trincea (Paoline, 2014) e quello di  Rosetta Spinelli, Il sergente Agostino. Una storia della Grande Guerra (Pratibianchi, 2015); quest’ultimo racconta anche una storia di prigionia dopo Caporetto, e del sospetto di vigliaccheria che venne gettato su chi in quell’occasione fu catturato dal nemico, un altro aspetto della Grande Guerra poco conosciuto. 

Le lunghe trincee, i bombardamenti con i cannoni a lunga gittata, e infine lo sbandamento del nostro esercito dopo Caporetto, interferirono con la vita quotidiana della popolazione civile. Emilio Lussu racconta della marea di profughi che dall’Altipiano di Asiago sfollarono verso la pianura nel 1916, e Mario Rigoni Stern con Storia di Tönle (Einaudi, 1978, ripubblicato nel 2014) racconta la medesima storia dal punto di vista degli abitanti che dovettero abbandonare la loro casa e il loro lavoro di contadini e pastori. Le strade affollate di profughi e di soldati in ritirata si trovano anche in Chiara Carminati, Fuori fuoco (Bompiani, 2014), che guarda alla guerra con gli occhi delle donne.
La guerra finì, sul fronte occidentale, l’11 novembre 1918. L’ultima alba di guerra di Paul Dowswell (Feltrinelli, 2013) racconta proprio quell’ultima mattina, partendo dal paradosso di una pace già firmata, ma non ancora attuata sul campo, con i soldati che si preparano ad un’altra giornata di guerra, di attacchi col gas, di appostamenti, di morte.
Ma se la guerra finì, non finirono però le sue conseguenze. Ce le racconta molto bene sempre Mario Rigoni Stern ne L’anno della vittoria (Einaudi, 1985, ripubblicato nel 2014): agli abitanti dell’Altipiano di Asiago fu consentito di ritornare solo con l’estate del 1919, dopo una sommaria bonifica del territorio nei mesi invernali per rimuovere cadaveri e armi. Quel che trovarono furono pascoli avvelenati, gialli di iprite, boschi e campi distrutti dalle bombe e dalle trincee, case e villaggi rasi al suolo dai cannoneggiamenti.
Nei miei interventi con le scuole secondarie di primo grado cerco di comunicare la ricchezza di spunti che queste opere consentono. Utilizzo anche foto d’epoca e tavole tratte dalla graphic novel di Gipi, Unastoria (Coconino Press, 2013; ma ci sono anche Jacques Tardi, Era la guerra delle trincee, Edizioni BD, 2012, e Joe Sacco, La Grande Guerra. 1 luglio 1916: il primo giorno della battaglia della Somme. Un’opera panoramica, Rizzoli Lizard, 2014).
Per raccontare la Grande Guerra, ma anche la guerra in generale, ai bambini più piccoli, oltre al già citato albo di Davide Calì e Serge Bloch, è da poco stato pubblicato La piccola grande guerra (Lapis, 2015) di Sebastiano Ruiz Mignone e David Pintor: un padre, soldato in trincea, teme l’avanzata imminente, mentre il suo bimbo a casa, che gioca coi soldatini, si rende conto che dietro quelle statuine, nella vita reale, ci sono uomini veri, come il suo papà.
Certo, non sono tutte letture semplici da accostare, Lussu e Rigoni Stern hanno un lessico elaborato, talvolta il contenuto dei racconti è emotivamente impegnativo, così come il senso di prossimità della morte. Credo però che il centenario della Grande Guerra ci obblighi a far riflettere i ragazzi sul carattere di tutte le guerre, sulle conseguenze che lo sviluppo tecnologico avviato un secolo fa ha ancora ai nostri giorni, e quindi ad assumerci la responsabilità di fare memoria ed educazione alla pace.

[Questo articolo è apparso su Andersen 322, maggio 2015. Scopri il resto del numero qui]

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