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Speciale “Visioni d’infanzia”: Melvin Burgess di Gabriela Zucchini

Questa intervista è stata pubblicata sul n.350 di Andersen, all’interno dello speciale “Visioni d’infanzia” a cura di Anselmo Roveda. Per sostenere la rivista, abbonati ora. Melvin Burgess sarà ospite al convegno Giovani che leggono? di Verbania venerdì 13 e sabato 14 aprile e sarà docente del percorso formativo La scuola delle storie.

Autore di fama internazionale, candidato per la Gran Bretagna al prestigioso Hans Christian Andersen Award 2018, Melvin Burgess è certamente uno dei migliori scrittori contemporanei, acuto interprete del mondo interiore, affettivo ed emotivo, dei giovani. Convinto che l’adolescenza sia quell’età straordinaria “in cui ognuno di noi è impegnato a inventare sé stesso e a sperimentare nuove strade e comportamenti”, ha iniziato a scrivere quei libri che lui stesso avrebbe voluto leggere da giovane. I suoi romanzi ci testimoniano in modo efficace che quel mondo tormentato, tipico degli adolescenti, temuto e contrastato da tanti adulti, è invece molto vivo nella sua mente e nella sua sensibilità. Melvin ama gli adolescenti e ama scrivere di adolescenza, considerata “l’età d’oro della vita umana”, un periodo eccitante e di grandi cambiamenti che può spaventare i più, ma che racchiude in germe il futuro delle nuove generazioni. Quello che Melvin ama mettere in scena nelle sue storie è proprio la vita vera dei giovani, raccontati attraverso le loro sfide, la sperimentazione del pericolo, la scoperta di nuove realtà, il coraggio di affrontare verità dolorose, di mettersi alla prova in profondità, lottando contro qualsiasi conformismo e, soprattutto, contro i tentativi di controllo e soffocamento messi in atto dagli adulti, che spesso sembrano incapaci di mantenere un buon rapporto con la propria adolescenza.

È un autore che lavora sul campo, mescolandosi con quelle giovani vite di cui ci restituisce il racconto, capace di attingere a quello straordinario serbatoio di storie che sono le persone vere, come accade in Junk, vincitore della Carnegie Medal nel 1997 (in Italia pubblicato prima da Mondadori, poi, nel 2012 da Salani con il titolo Storia d’amore e perdizione), o in Kill All Enemies (Mondadori, 2013), bellissimo romanzo basato sulla raccolta di testimonianze dirette.
Considerato uno dei padri fondatori della letteratura Young Adult, spesso attaccato da critici e colleghi per la durezza delle sue storie e le scottanti tematiche trattate, attraverso i suoi romanzi Melvin esplora consapevolmente territori ignorati fino ad allora dalla letteratura giovanile, riuscendo ad infrangere il pregiudizio che gli adolescenti non leggono, e a restituirci il ritratto di una gioventù reale, segnata da innumerevoli contraddizioni e tormenti, ma animata anche da una spinta etica che trasforma i giovani protagonisti delle sue storie in figure eroiche (si veda a questo proposito Kill All Enemies, p. 186), in grado di discernere il bene dal male, senza sottrarsi a nessuna esperienza.

 

“Una cosa bellissima dei libri – dice Burgess in un’intervista a Carpi nel 2015 – è che si può leggere di omicidi, incesti, droga, dipendenza, sapendo bene, quando arrivi alla fine, che niente di quello che hai letto è successo veramente. In fondo, i libri sono un modo sicuro per esplorare il mondo. Sono il medium giusto per parlare ai giovani dei temi più scottanti”. “La simpatia per il diavolo”, che sembra connotare la sua produzione letteraria, non ha quindi il significato di una accettazione del male, ma dell’importanza di conoscerlo nelle sue diverse manifestazioni per sapere come combatterlo. E le sue storie, pur così dure e vere, ci parlano sempre e comunque di amore, anche se visto ed esplorato da punti di vista inusuali: di una caccia spietata (Il grido del lupo, Equilibri, 2017); della ricerca assoluta di libertà (Lady, Mondadori, 2002); della difesa irriducibile degli affetti famigliari (Kill All Enemies, Mondadori, 2013); della bellezza e fragilità della diversità (Innamorarsi di April, Mondadori, 1997); del superamento dei pregiudizi sociali e culturali (What is Teenage Fiction?, in melvinburgess.net).

Un autore capace di dialogare con gli adolescenti e le adolescenze di ieri e di oggi, di sentire sulla sua pelle le esperienze di cui narra, e di restituircele in tutta la loro verità attraverso storie di straordinaria potenza. Storie nelle quali i giovani lettori non possono fare a meno di conoscersi e riconoscersi, di sentirle come proprie. “Non perché queste storie ti fanno diventare un cittadino migliore, ma perché ti rendono più te stesso. I nostri libri sono quelli che parlano al nostro cuore”.

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L’adolescenza: gli anni in cui il passato si trasforma in futuro. Intervista a Melvin Burgess

Che cosa ti ha portato a scrivere per adolescenti in un periodo in cui la letteratura young adult era ancora poco frequentata?

Ho iniziato a scrivere per giovani per caso. Ero arrivato a un punto della mia vita in cui sentivo il bisogno di essere pubblicato o di cambiare rotta, così ho provato a cimentarmi nella narrativa per ragazzi. È stata una bella prova, che mi ha convinto a continuare.
Quei primi libri, che avevo pensato per ragazzi, pubblicati come “narrativa adolescenziale”, in realtà erano letti da undicenni o poco più. In altre parole, quello che allora passava per narrativa adolescenziale era un po’ un inganno, e cominciai a maturare l’idea di scrivere un libro che fosse veramente per adolescenti, il genere di storia che avrei voluto leggere quando avevo sedici anni. Così è nato Junk, e il successo che ottenne fu un’autentica sorpresa. Fino ad allora era prevalsa la convinzione che gli adolescenti non leggessero. Quindi, cosa c’era di diverso in Junk? Sia il contenuto che il punto di vista. La qualità delle proposte per adolescenti fino ad allora era stata fortemente condizionata dalle aspettative degli adulti – bibliotecari, insegnanti, genitori – che temevano, contro ogni prova, che mettere nelle loro mani il tipo di storie che volevano veramente leggere avrebbe significato corrompere i giovani e minare l’autorità degli adulti.
È stata, per me, una bella sfida. In quella situazione c’era la possibilità di scrivere in modo nuovo di e per un gruppo di persone che non avevano soldi, né possibilità di votare, e nessuna possibilità di far sentire la propria voce, tranne che nel mondo della musica. I loro sogni e desideri erano stati rubati dagli adulti, e in gran parte lo sono ancora. Tuttora film e tv non sono in grado di intercettare i bisogni dei giovani. I libri invece hanno raccolto la sfida. Sarei stato un pazzo a non tentare!

Che percezione hai dell’infanzia e dell’adolescenza?

Nella maggior parte dei paesi sviluppati, l’adolescenza è un affare maledettamente complicato. Il sistema educativo, certamente quello inglese, ha perso la sua dimensione ideale e visionaria. La scuola cerca costantemente di sfornare ‘prodotti umani’ accuratamente allineati alle richieste del mercato del lavoro. E questa situazione peggiora di anno in anno. In Europa assistiamo a un progressivo invecchiamento della popolazione e a un accaparramento sempre più accentuato di risorse da parte degli anziani. Peccato che le classi dirigenti non abbiano tentato di cogliere e valorizzare la creatività, la passione e le capacità trasformative della gioventù. È una sorta di tentativo di bloccare il futuro nel passato. Ma la gioventù è irreprimibile, e in molti paesi occidentali sta crescendo un moto di protesta dal basso. Guardando al futuro, vedo guai in vista!

Che cosa ha significato per te, in termini di formazione personale e professionale, la tua adolescenza?

Sebbene avessi una famiglia affettuosa, sono stato un ragazzino molto insicuro ben oltre la mia adolescenza. I miei genitori mi hanno letto tanti libri, e attraverso le parole ho esplorato altre dimensioni. A scuola ero un po’ un outsider, ma ho avuto alcuni insegnanti e un paio di buoni amici che mi hanno incoraggiato a scrivere. Scrivevo poesie. E ho iniziato a scrivere un romanzo a sedici anni, anche se avrei preferito morire piuttosto di mostrarlo a qualcuno. Ho letto innumerevoli fantasy – Tolkien, Mervyn Peake, Lord Dunsany -, molti miti e leggende. Ma nella libreria di mio padre c’era anche George Bernard Shaw, e nella biblioteca della scuola George Orwell. I libri che compravo personalmente erano invece centrati sulla natura – uno dei miei soprannomi d’infanzia era Nature Boy.
Se guardo indietro, posso dire che i miei interessi per la scrittura si sono sviluppati durante la mia adolescenza, e sono rimasti invariati fino ad oggi: il mondo naturale, la politica, il mito.

Come la tua adolescenza dialoga con i giovani protagonisti dei tuoi libri e con gli adolescenti contemporanei?

Non è una domanda semplice. Gli eroi e le eroine adolescenti dei miei libri hanno tante cose in comune. Sono tutti outsider, vivono ai margini della società e l’amore è una componente fondamentale delle loro vite. Questi aspetti riflettono la mia adolescenza da molteplici punti di vista.
Gli adolescenti sono spesso emarginati. D’altra parte i loro genitori vivono spesso una strana contraddizione: mentre durante l’infanzia dei figli sono assiduamente impegnati nell’aiutarli a crescere, non appena i figli entrano nell’adolescenza, tentano in tutti i modi di impedire loro di crescere troppo velocemente. All’improvviso, molte delle cose che gli adolescenti vogliono fare, le devono fare in segreto, e iniziano a fare riferimento più agli amici che alla famiglia. Da questo punto di vista, c’è un collegamento tra la mia adolescenza e quella dei giovani di oggi.
L’adolescenza è qualcosa che tutti condividiamo. E se pure è vero che anche l’infanzia è una condizione di cambiamento, è proprio nell’adolescenza che questo processo improvvisamente accelera traducendosi in una sorta di metamorfosi. Sono gli adolescenti che trasformano il passato in futuro: prendono tutto ciò che hanno imparato durante l’infanzia per creare qualcosa di nuovo. È una cosa stupefacente e meravigliosa, ed è qualcosa che tutti facciamo inconsciamente. È per questo che scrivere di loro è affascinante e sorprendente.
Nel complesso, penso che l’anima del mio lavoro consista proprio nell’esplorazione di questo processo, piuttosto che nella delineazione della sua evoluzione.

In che misura la memoria della tua infanzia e della tua gioventù informa la tua opera narrativa? Come la tua esperienza e il tuo vissuto personale dialogano con la creazione delle tue storie e il tuo immaginario narrativo?

Nella finzione narrativa tutto viene agito sulla pagina. Se vuoi entrare pienamente nei tuoi personaggi, devi pensare e sentire come loro. In questo senso, tutti i personaggi sono estensioni dell’autore. Quindi non si tratta solo di attingere alla propria memoria. Ricordo che uno scrittore per l’infanzia, alla domanda su come, in quanto ultrasettantenne, si relazionasse con i bambini del mondo contemporaneo, rispose: “Quand’ero giovane, con una bici. Ai nostri giorni, con una playstation. Ma i sentimenti sono gli stessi”. Concordo pienamente. I sentimenti e i desideri, l’urgenza di fare i conti con il mondo che ci circonda, la creazione di nuove estetiche: tutto questo è ciò che è importante nello scrivere sull’adolescenza. Forse il segreto sta non tanto nel conservare memoria delle cose, quanto nel mantenere viva la tua adolescenza dentro di te.
Che cosa raccontare e come raccontarlo? Scrivere per adolescenti non è diverso dallo scrivere per adulti. Devi immaginare i personaggi in una situazione, collocarli in un determinato ambiente, farli agire e quindi depredarli di tutti i loro sentimenti, pensieri, idee e reazioni, per il valore che possono avere. È solo che inizi con gli adolescenti invece che con gli adulti. La cosa più importante è che i giovani personaggi vedano le cose sotto una luce veramente adolescente. Che stiano affrontando un drago, un genitore arrabbiato o una situazione pericolosa, tutto deve, sempre, essere vero.

Alcuni sostengono che la letteratura per ragazzi sia un genere, piuttosto che letteratura tout court. Altri che sia una letteratura ponte tra la letteratura infantile e quella adulta. Tu cosa ne pensi?

C’è un dibattito costante su cosa sia la letteratura YA, ma ovviamente non esiste la possibilità di definirla “esattamente”. Non è un genere, perché comprende in sé tanti generi diversi. Per alcuni è un ponte tra la letteratura per bambini e quella per adulti. Per altri esprime bisogni, desideri, sogni e idee che nascono da quell’età. Si tratta di una difficile definizione. Dal mio punto di vista, la cosa più importante è che gli scrittori YA forzano spesso i confini di ciò che pensiamo sia la letteratura YA, proprio come fanno gli adolescenti nelle loro vite reali. D’altra parte non starebbero facendo il loro lavoro se così non fosse.

 

La tua scrittura ricorda, da un certo punto di vista, il lavoro di indagine, di osservazione della realtà, di raccolta di esperienze e vissuti personali tipico degli autori naturalisti. Come nasce questo tuo registro narrativo?

Non penso che le storie dicano sempre la verità, ma c’è la possibilità che possano mostrarci le verità: sulle persone, sul loro comportamento, sulla loro psicologia, sulle loro relazioni. Questo è vero per qualsiasi genere, dal Naturalismo alla Fantascienza, ma è certamente vero che il Naturalismo merita una menzione particolare, nel mio caso. Il tipo di naturalismo che si trova in Junk e Kill All Enemies scaturisce dal disegno della vita. Con Kill All Enemies ho portato questo processo all’estremo, intervistando alcune persone alla ricerca di storie. È un’esperienza incredibilmente gratificante ed educativa. Se sei fortunato, puoi uscirne con la storia, la voce, l’ambientazione, il carattere, le relazioni, il destino dei tuoi personaggi. Certo, il processo non si ferma qui: con una sorta di alchimia devi poi tradurre questa materia prima in un romanzo. Ma non c’è dubbio che questa modalità produca un tipo unico di verità: attingere direttamente alla vita delle persone attribuisce sicuramente a un’opera un’autenticità che non può essere duplicata in nessun altro modo.

L’imporsi dei nuovi media, a cui gli adolescenti possono attingere per soddisfare il loro bisogno di storie, ha cambiato in qualche modo il tuo modo di raccontare?

Si tratta di una vera sfida. Dato che molte di queste nuove piattaforme sono visive, film e tv hanno preso a prestito da questi media più efficacemente di quanto non abbiano fatto gli scrittori. Ho sempre cercato di ispirarmi ad estetiche diverse per il mio lavoro: graphic novel e videogiochi per i miei libri fantasy Bloodtide (Andersen Press, 1999) e Bloodsong (Andersen Press, 2005); le vite e il lavoro di artisti rock come Bowie e Michael Jackson per Sara’s Face (Andersen Press, 2017); le tecniche cinematografiche di Ken Russell per Kill All Enemies. I social media sono meno utili perché basati su una conversazione più che su un racconto. Creano comunque una comunità attorno a un libro o a uno scrittore, e questa è una cosa meravigliosa. Ho sperimentato Twitter come mezzo per raccontare storie: è stato divertente, e i risultati molto interessanti. Ci ritornerò, prima o poi.
In tutti i modi, bisogna comunque cogliere la sfida.

Come si può fare per creare una cultura della lettura nei giovani e una vera letteratura per i giovani?

Tempo fa ho ascoltato un grande autore inglese suggerire che una vera letteratura per i giovani dovrebbe essere scritta da loro stessi. Non penso sia vero. Penso che la risposta debba essere la stessa per tutte le forme artistiche: entrare in contatto con le persone, scrivere di quell’età piuttosto che per quell’età, cercare costantemente nuovi modi per dire ciò che abbiamo da dire, mettere sempre in discussione ogni cosa, non aver paura di fallire e continuare a scrivere!
Il modo migliore per creare una cultura della lettura e una vera letteratura per i giovani sta nello scrivere libri che i giovano vogliono leggere, libri acuti, pericolosi, energici, stimolanti, divertenti, di ogni tipo. E, sicuramente, non educativi. Di questi, se ne trovano già abbastanza a scuola. Mi auspico e spero che si smetta di scrivere libri centrati sui diversi problemi del mondo. Solo in questo modo i libri per adolescenti potranno integrarsi nella letteratura tout court e, come i film, diventare parte della nostra vita culturale.

Recentemente hai scritto che la letteratura YA sta vivendo un periodo di stasi, si è seduta sulle proprie conquiste, ha bisogno di trovare nuove strade e nuove modalità espressive. A cosa ti riferisci?

Mi piacerebbe trovare romanzi capaci di esprimere lo stato del mondo con più immaginazione e originalità. Ci sono tanti libri meravigliosi che esplorano sentimenti complessi con grande sensibilità, ma ben pochi sono quelli che affrontano le situazioni più a rischio senza tentare di sdrammatizzare. Tutto viene mantenuto entro i limiti delle cose sicure. Tutto parla di redenzione e di venire a patti con le cose. E che dire delle persone che sbagliano, allora? Viviamo in tempi drammatici dal punto di vista politico. Gli adolescenti amano il rischio, i comportamenti scioccanti e mettersi in gioco. Pochi sono i libri capaci di dare espressione a questo fermento.
Immagino che questo succeda perché la società è spaventata dagli adolescenti. Guardando all’attuale letteratura YA, sembra che essa implori i giovani di essere ragionevoli: riemerge la teoria del “diamo loro un buon esempio”, anche se espressa in modo più sofisticato. Questa intenzionalità non crea buona arte. Il modo in cui il mondo cambia è sempre così inaspettato! È allora necessario trovare costantemente il modo giusto per esprimerlo.

Questa intervista a cura di Gabriella Zucchini è stata pubblicata sul n.350 di Andersen, all’interno dello speciale “Visioni d’infanzia” a cura di Anselmo Roveda. Per sostenere la rivista, abbonati ora. Melvin Burgess sarà ospite al convegno Giovani che leggono? di Verbania venerdì 13 e sabato 14 aprile e sarà docente del percorso formativo La scuola delle storie. 

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