
Due scatti di Mara Pace per “Leggevo che ero”: Guus Kuijer e Jutta Richter
Pubblichiamo questa doppia intervista di Mara Pace a Guus Kuijer e Jutta Richter dal nostro archivio (Andersen n. 357, novembre 2018) in occasione di Educare alla lettura 2026, progetto promosso dal Salone del Libro con Cepell – Centro per il libro e la lettura e la direzione scientifica di Simone Giusti e Giusi Marchetta: un percorso focalizzato sull’orientamento e l’educazione civica per insegnanti di ogni ordine e grado, interessati ad approfondire conoscenze e competenze nell’ambito della letteratura per ragazzi e nella formazione dei ragazzi al piacere della lettura. La riflessione sull’infanzia che emerge da questo articolo diventa materiale di approfondimento per i corsisti di questo percorso formativo al quale contribuisce anche la nostra rivista con consigli di lettura e idee da esplorare. Per sostenere il lavoro della nostra rivista e per leggere insieme a noi tutto l’anno, visita il bookshop e sottoscrivi un abbonamento!
Che cos’è l’infanzia? È possibile per uno scrittore adulto raccontarla in modo autentico? Sullo scrivere per ragazzi e sulla specificità della letteratura per l’infanzia ci siamo di recente interrogati all’interno dello speciale Visioni d’infanzia (a cura di Anselmo Roveda, Andersen n. 350), dov’erano raccolte le interviste con sei grandi autori.
Oggi torniamo a quella riflessione – sempre aperta, una costante per chi si occupa di libri per giovani lettori – attraverso l’incontro con la scrittrice tedesca Jutta Richter (ospite alla Bologna Children’s Bookfair 2018 in occasione della candidatura al Premio Strega) e con lo scrittore olandese Guus Kuijer, vincitore dell’Astrid Lindgren Memorial Award nel 2012, ospite dell’ultima edizione del Festival Tuttestorie, che si è svolta a Cagliari dal 6 al 12 ottobre 2018.
Due autori che, in modo diverso ma percorrendo strade parallele, riescono davvero a condurci dentro il mondo dei bambini: nei loro libri si respira l’aria del Nord dei romanzi di Astrid Lindgren, Maria Parr, Ulf Stark; c’è libertà di movimento e di pensiero, il tempo sfrangiato della noia e nessuna ritrosia davanti alle domande, anche le più difficili. L’opera di questi autori dimostra che non c’è nulla che non si possa raccontare in un libro per ragazzi: tutto dipende da come lo si fa e dal punto di vista.
“Quale linguaggio esprime e contiene il senso di questa esperienza profonda e intima?” si domanda Roni Natov nel saggio The Poetics of Childhood (2003, Routledge). “La complessità della realtà del bambino (…) riflette la sua capacità di muoversi tra realtà e immaginazione, riuscendo quasi sempre a vivere in entrambi questi regni, con pienezza, e senza provare troppo disagio.”
I personaggi di Jutta Richter e Guus Kuijer osservano, chiedono, pensano; fanno talvolta sobbalzare il lettore adulto sulla sedia, fanno ridere i bambini che leggono le storie nei loro angoli segreti.
Per una definizione di infanzia: intelligenza e libertà
Kuijer e Richter sono scrittori che ascoltano davvero l’infanzia, o che forse sono ancora in stretto contatto con la propria parte bambina, come descritto da Alison Lurie nel suo saggio Bambini per sempre (Mondadori, trad. Giorgia Grilli), a proposito di altri grandi scrittori: “Spesso abbiamo l’impressione che i più dotati autori di libri per l’infanzia non siano come gli altri scrittori, ma che da un certo punto di vista siano dei bambini. (…) Come scrittori, essi si prendono gioco degli adulti e degli adulti espongono le ipocrisie e i fallimenti; sostengono, più o meno apertamente, che i bambini sono più coraggiosi, più intelligenti o più interessanti dei grandi, e che le regole che i grandi impongono sono fatte per essere infrante.”
Non è un caso che la definizione di infanzia di Guus Kuijer, offerta a bruciapelo nel corso dell’intervista, sia tanto sintetica quanto precisa e illuminante: “L’infanzia è intelligenza cristallina.” Non c’è bisogno di aggiungere altro, né di fare lunghi discorsi. Lo spiega anche ai ragazzi, durante un incontro di Tuttestorie: “Quando avevo dieci anni mi sembrava che gli adulti fossero più intelligenti. Ma non è così. Ora che invecchio sento che la mia intelligenza si riduce.”
Jutta Richter, ne Il gatto Venerdì (Beisler, ill. Rotraut Susanne Berner, trad. Bice Rinaldi, Premio Andersen 2007), scrive: “Le bambine impertinenti la sapevano lunga. Più dei grandi. Erano come l’uomo che ne sa più della gallina.” E quindi i lettori bambini vanno presi sul serio, senza la pretesa – quando si scrive – di insegnare per forza qualcosa. A questo proposito Guus Kuijer ha scritto un saggio negli anni Ottanta: il titolo si potrebbe tradurre come Il ragazzo disdegnato, ed è una sorta di “vendetta” nei confronti di un sistema educativo che a Guus bambino era sempre andato stretto. L’autore, in quest’opera che ha sollevato in patria un intenso dibattito, afferma che gli adulti non dovrebbero presentarsi come “esperti della vita”, perché nella vita si impara sempre – il processo di apprendimento non finisce mai – e quindi anche i bambini possono diventare modello o fonte d’ispirazione per i grandi.
La parola scelta da Jutta Richter per definire l’infanzia, quando ne parliamo durante l’intervista, è invece libertà. “Non parlo dell’infanzia in generale, ma di quella che sento mia” sottolinea l’autrice. “Nessuno mi dava orari: una volta fatti i compiti, potevo disporre del mio tempo. E sono convinta che di questa libertà ci sia estremo bisogno. Oggi i bambini non abitano in un mondo d’avventure, com’era il nostro, ma troppa protezione non va a loro vantaggio. A volte i bambini devono stare in un mondo di soli bambini, senza gli adulti. E la noia (‘tempo lungo’ in tedesco) è un’esperienza irrinunciabile, dalla quale dipende lo sviluppo della creatività.”

Voci bambine
Quando leggiamo le storie di Polleke o Madelief, di Christine o Hanna, è quasi impossibile non chiedersi da dove arrivino. Come nascono le voci di questi personaggi, così autentiche, i loro dialoghi, i giochi e lo sguardo (mai scontato) sul mondo?
“Quando scrivo, guardo dentro me stessa” racconta Jutta Richter. “Il bambino-modello dei miei libri è la bambina che sono stata. Ma non devo fare un grande sforzo, non devo entrare in qualcosa di lontano o esterno alla Jutta del presente. Sono ancora bambina. Torno con estrema facilità alle sensazioni di quando ero piccola, sono le stesse che provo ora: la paura, la rabbia, la felicità.”
Ancora più radicale è il racconto di Guus Kuijer, autore de Il libro di tutte le cose (Salani, trad. Dafna Sara Fiano, Premio Andersen 2010): “Ricordo perfettamente che quand’ero bam-bino riflettevo spesso su questa faccenda: ma davvero gli adulti non ricordano i loro pensieri da piccoli? Stavo seduto su una sedia e rimuginavo. È stato allora che mi sono ripromesso di non dimenticare, e credo di esserci riuscito: ho traghettato un pezzo della mia infanzia nell’età adulta. Non so descrivere, però, come questo entri nella scrittura. La scrittura è come un sogno: non è qualcosa che fai, è qualcosa che ti capita.”
Questa spontaneità, dentro una scrittura tanto viva e profonda, è tra gli ingredienti chiave di una letteratura che sia davvero vicina all’infanzia.
Anche quando tra le pagine si incontrano le grandi domande, ci si interroga sull’eternità – come Christine e il suo amico randagio ne Il gatto Venerdì – o si riflette sul presente e l’attualità.
La serie di Polleke nasce dentro una specifica stagione della letteratura olandese per ragazzi, quando gli autori hanno cominciato a scrivere libri incentrati sulla realtà e i cambiamenti sociali, prendendo posizione, veicolando messaggi chiari e definiti. La scrittura autoriale di Guus Kuijer, però, riporta le vicende di Polleke dentro la letteratura: “La motivazione che mi ha spinto a scrivere i libri di Polleke nasce dalla società in cui vivevo all’epoca. Sentivo il bisogno di raccontare storie di bambini alle prese con famiglie difficili, perché all’epoca in Olanda se ne discuteva molto” spiega l’autore. “Ma allo stesso tempo Polleke voleva prendersi gioco – in modo serio e letterario – dei cosiddetti problem books.” In effetti, nei libri di Polleke, le questioni sociali non mancano: disgregazione della famiglia tradizionale, tossicodipendenza, incontro con culture diverse, morte e malattia. Ma non sono libri a tema: sono romanzi che assomigliano molto alla vita, altrettanto spontanei e imprevedibili.
Lo sguardo dell’infanzia. Bambini e animali
Tornando a riflettere sulla specificità dello sguardo dell’infanzia, Guus Kuijer sceglie come esempio il rapporto dei bambini con gli animali. “Sono più empatici degli adulti: considerano gli animali come loro pari, parte della famiglia. Questo, e più in generale la sintonia con la natura, è qualcosa che si perde crescendo” osserva. “Quando ero bambino andavo allo zoo di Amsterdam tutte le domeniche pomeriggio: credo che questo desiderio, di stare vicino agli animali, sia comune a molti bambini. O persino di essere un po’ animali, a volte.”
Cani e gatti, leoni ed elefanti sono spesso protagonisti dei libri per la prima infanzia, ma anche di romanzi per bambini e ragazzi. A questo proposito Guus Kuijer cita i titoli di Bibi Dumon Tak (autrice che arriverà in Italia nel 2019 con Rizzoli), dove gli animali sono protagonisti assoluti, e consiglia di leggere Minùs (Feltrinelli, 2012, trad. Anna Patrucco Becchi), la storia di un gatto che si trasforma in una giovane donna e deve cercare di capire che cosa vuole essere: umano o felino. L’autrice è Annie M.G. Schmidt – “una voce fondamentale della letteratura per ragazzi olandese” dice Guus Kuijer – che torna in questi giorni nelle nostre librerie con Pluk e il grangrattacielo (LupoGuido), romanzo illustrato da Fiep Westendorp, dove accanto a protagonisti bambini incontriamo piccioni premurosi e scarafaggi gentili.
Anche nei romanzi di Jutta Richter gli animali hanno un ruolo di grande rilievo. “Cani e gatti non fingono, sono autentici come i bambini” spiega l’autrice. “Anche per questo li amo molto, non solo perché li ho sempre ospitati in casa. Mi commuove l’amore incondizionato dei cani. L’amore incondizionato è un tema fondamentale per tutta la letteratura.”
Libri d’infanzia
Parlando di infanzia, è quasi inevitabile soffermarsi sul ruolo dei libri nella vita dei bambini. In occasione delle interviste, abbiamo chiesto ai due autori di portare con sé il titolo che hanno più amato nell’infanzia per lo scatto per il progetto “Leggevo che ero”.
Jutta Richter si è presentata a Bologna con la sua copia de Le memorie di papà Mumin di Tove Jansson, un libro nel quale ricorda di aver ritrovato tutto il suo immaginario infantile: i genitori, i nonni, gli amici, la vita quotidiana.
“Un mondo normale, dunque, ma raccontato in un modo affascinante e fantastico. Questo è per me il senso della letteratura per l’infanzia” spiega Jutta Richter, “partire da una realtà quotidiana per trasporla in qualcosa di diverso, ma senza mai dimenticarla. Il come si racconta è sempre centrale.”
Guus Kuijer è invece arrivato a Cagliari con un’edizione olandese di Senza famiglia di Hector Malot, classico peraltro citato anche ne Il libro di tutte le cose: il protagonista lo riceve in prestito insieme a Emil e i detective di Erich Kästner e a una raccolta di testi poetici di Annie Schmidt.
“Per me è stato soprattutto un libro avventuroso, una grande fuga” spiega Guus Kuijer. “Il nome di Vitali, l’uomo a cui viene affidato il piccolo Rémi, deriva senza dubbio da vitalità: fuggire con lui era la mia gioia, il mio sogno. Quando muore Vitali, ho smesso di leggere il romanzo perché per me, a quel punto, era finito. Penso che abbia a che fare con la mia infanzia in una famiglia non felice, dalla quale volevo fuggire.”
Lo scatto fotografico è l’occasione per un discorso più ampio: che cosa ci lasciano i libri, soprattutto quelli letti nell’infanzia? I racconti di Jutta Richter e Guus Kuijer sono alquanto spiazzanti: narrano di un rapporto intenso, quasi fisico, con la pagina scritta.
“Non so quanto il singolo libro ci trasformi” spiega Jutta Richter, “ma senza dubbio veniamo trasformati dalla passione che proviamo per le storie quando siamo bambini. Più che il contenuto dei libri che leggevo, mi ha influenzato il fatto di mangiarne la carta, quando la cioccolata finiva. Staccavo gli angoli delle pagine e li masticavo senza smettere di leggere. Il sapore della carta stampata è stato per me incredibilmente importante.”
Per Guus Kuijer, invece, il libro era una sorta di rifugio, una tana, una via di fuga. “Il libro è un posto dove puoi nasconderti, in un angolo della casa, dietro la copertina. Leggevo anche per questo: per svanire quando in casa divampavano i litigi. I miei genitori leggevano solo la Bibbia, ma avevo tre sorelle, che erano avide lettrici, quindi la materia prima non mancava affatto. Ho letto tanti ‘libri per ragazze’, e non escludo che questo – insieme alla convivenza con tante sorelle – mi abbia portato a privilegiare i personaggi femminili
“La letteratura” – conclude – “ti aiuta a scoprire che attorno a te ci sono tanti altri mondi. I miei genitori erano molto religiosi, quasi fondamentalisti. Ma nei libri potevo incontrare mondi nuovi, diversi da quelli a cui ero abituato. Il personaggio di Vitali, per citare ancora Senza famiglia, mi ha permesso di scoprire l’avventura. Per questo credo sia tanto importante leggere.”
Per i docenti: Andersen è uno strumento fondamentale per accompagnare i percorsi di educazione alla lettura, portando in classe le ultime novità editoriali, con materiali di approfondimento e spunti operativi. Il Ministero prevede anche quest’anno un rimborso del 90% per le scuole che decidono di attivare abbonamenti a riviste e quotidiani entro il 28 febbraio 2026. Come fare? Vi spieghiamo passo passo la procedura.

