PREMIO LEGGIMI FORTE 2019/2020 VI edizione

Sesta edizione del Premio Leggimi Forte. Il premio, distinto in due categorie, Bambini (V classe primaria e I media) e Ragazzi (II media e II superiore) viene assegnato da una giuria di oltre 250 alunni di varie scuole d’Italia. Al premio, promosso dall’Associazione For Children ed il Centro Leggimi Forte di Pomigliano d’Arco in collaborazione con Andersen, partecipano scuole della provincia di Napoli, della provincia di Modena e di Padova.

Per la sezione “bambini” (V primaria e I media), le classi coinvolte dovranno scegliere tra i seguenti titoli: Per un pugno di ghiande (Editoriale Scienza) di Papik Genovesi e Sandro Natalini, La scorpacciata (DeA) di Annalisa Strada, La mia nave (La Margherita) di Roberto Innocenti, Matita Hb (Il Castoro) di Susanna Mattiangeli.

Per la sezione “ragazzi” (II media e II superiore), i lettori dovranno invece scegliere tra: Saturnino, (Lapis) di Nicola Brunialti, Dentro il cuore di Kobane (Piemme) di Vichi De Marchi, Uma del mondo di sotto (BAO Publishing) di Marta Baroni, Le amiche che vorresti (Giunti) di Beatrice Masini e Fabian Negrin.

Le edizioni passate del Premio Leggimi Forte: V Edizione – 2018; IV Edizione – 2017 ; III Edizione – 2016 ; II Edizione – 2015 ; I Edizione – 2014

Qui di seguito le recensioni dei libri finalisti, selezionati dalla redazione della rivista Andersen e recensiti sulla rivista negli scorsi mesi.

SEZIONE BAMBINI

Per un pugno di ghiande (Editoriale Scienza) di Papik Genovesi e Sandro Natalini
Pànace di Mantegazza e serpente bruno degli alberi, caulerpa e testuggine dalle guance rosse, chiocciola gigante africana e persico del Nilo: sì, non c’è che dire, hanno nomi suadenti o esotici, oppure sembrano animali e piante del tutto normali. Ancora, che cosa ci può essere di brutto nella coccinella arlecchino, nel parrocchetto monaco, nello scoiattolo grigio, nell’ermellino o nel giacinto d’acqua? In realtà, come ben indica il sottotitolo, sono specie invasive che hanno già compromesso gravemente o stanno compromettendo con la loro presenza ampie zone del nostro pianeta.A dire il vero,come ben dimostrano gli autori, questa è una storia “ vecchia”. Già i primi navigatori delle isole del Mediterraneo portarono con sé piante e animali nuovi, causando così l’estinzione di molte specie autoctone. Poi, dal Cinquecento in poi, venne la volta degli esploratori e dei conquistatori. Nell’Ottocento gli inglesi portarono in Australia la volpe per poterla cacciare. Ma quest’ultima si trovò perfettamente a suo agio e cominciò a mangiare piccoli canguri, causando l’estinzione di nu m e rosissime specie. Certamente in epoca di globalizzazione e di spostamenti sempre più rapidi l’importazione involontaria o volontaria (si pensi agli animali esotici da appartamento che vengono poi abbandonati) sta sconvolgendo vecchi e consolidati equilibri: dalle foreste australiane invase dai rospi delle canne alla Terra del Fuoco impestata di castori canadesi e via dicendo. E poi questi alieni sono predatori, possono trasmettere malattie anche gravi, rubano risorse essenziali, distruggono i fragili ecosistemi acquatici, divorano le piante, in certi casi si incrociano con le specie locali.Nel volume si passano in rassegna 20 specie diverse, distinte per pericolosità, da 1 a 5 stelline,ma si parla anche di formiche e ratti. Né manca una succinta informazione su certi alieni di casa nostra (si pensi alla zanzara tigre o alla robinia). Il tono è colloquiale e la lettura è quindi quanto mai piacevo l e,senza dimenticare il variare delle soluzioni grafiche, eleganti ed aggressive al punto giusto, e le belle e ironiche illustrazioni di Sandro Natalini. Certo non era facile realizzare un libro del genere che doveva svolgere, nei modi giusti e comprensibili, opera di divulgazione e di messa in guardia, dovendo al contempo fare i conti (impliciti) con l’ottuso fondamentalismo di certi sedicenti animalisti.
(Walter Fochesato su Andersen 355 – settebre 2018)

La scorpacciata (DeA) di Annalisa Strada
Da tempo ormai si fa un gran parlare di cibo fra chef più o meno stellati e/o tatuati, improvvide e abborracciate raccolte di ricette, ristoranti che incubano incubi, prima e dopo la cura, e così via. Credo che vi sia un rapporto proporzionale fra il gran parlare televisivo di cibo e il fatto che gli italiani abbiano le tasche vuote e una profonda ignoranza in campo culinario e alimentare. Ci vorrebbero forse, anche qui, delle prove Invalsi?! Per questo mi è piaciuto questo romanzo di Annalisa Strada, dedicato interamente, fin dal titolo, al cibo: frizzante al punto giusto (di pronta e buona beva), arguto e, quel che più conta, senza pretese se non quella, riuscita, di attirare il lettore, grande o piccolo che sia.Tutto si svolge in un tranquillo quartiere di periferia e, al centro, vi sono due coppie. Da un lato Iunia e Clelia, sorelle intraprendenti e irresistibilmente simpatiche. Dall’altro Ernesta e Lidio viaggiatori e, ancor più, accumulatori bulimici di cibi rari e inconsueti che stipano in un seminterrato zeppo di ogni ben di Dio. Come non pensare alla cantina di Sussi e Biribissi di Collodi Nipote? Aggiungiamo due cose fondamentali: i due bizzosi ve cchietti sono a dir poco avari e non sono disposti a rinunciare ad un boccone delle loro prelibatezze, salvo ingozzarne il cane. Dal canto loro le due bambine sono perennemente alle prese con un buco alla stomaco e sognano cibi succulenti e sostanziati, angariati da due genitori a dir poco salutisti. Nessuna dispensa, nessun cibo conservato, soltanto prodotti certificati, niente di zuccherino e, a concludere il tutto, sempre quantità minime. Per questo Clelia e Iunia due volte alla settimana compiono incursioni mirate nella wunderkammer dei due sordidi anziani.“ Sceglievano con cura e prendevano poco. Nel tempo si erano date tre regole fondamentali. Assaggiare poco (per non dare nell’occhio), degustare senza divorare, non lasciare traccia del proprio passaggio”. Ma un giorno si accorgono che l’enorme refrigeratore, a causa di un cavo quasi staccato, sta allagando il pavimento e tutto il contenuto si sta scongelando.Da qui la vicenda conosce un’improvvisa accelerazione: riescono scaltramente a far sì che i due vegliardi si rendano conto dell’imminente tragedia e che inizino freneticamente a cucinare (e divorare); senza ovviamente condividere nulla con le due bambine che pure hanno chiamato in aiuto. Qui mi fermo per dire che, come si conviene, non mancano i colpi di scena e le agnizioni, in una narrazione divertente e dive rt ita. Unico neo le illustrazioni che non mi paiono adeguate, a parte la piacevolezza decorativa dei risguardi.
(Walter Fochesato su Andersen 365 – settembre 2019)

La mia nave (La Margherita) di Roberto Innocenti
Mainâ mai ninte (Marinaio mai niente) si diceva un tempo a Camogli per sottolineare le asprezze e i rischi della vita di mare e le durissime condizioni di lavoro e sfruttamento che vigevano a bordo prima che arrivassero elementari conquiste sindacali. I liguri, mi è capitato di dirlo e scriverlo tante vo l t e, non amano il mare. Lo rispettano, questo sì, e lo conoscono a fondo ma preferiscono la terra ferma. Lo hanno solcato per secoli inanellando come scrive Roberto Innocenti “ p o rti dai nomi curiosi”, ma subendolo come una necessità dettata dalla sopravvivenza. E tutto ciò lo si coglie perfettamente anche nelle sue tavole anche se questa è la storia di una scelta di vita,di un passione fo rtissima durata cinquant’anni. E attraverso il disporsi saggiamente articolato delle tavole vi è anche una fetta consistente del “ secolo breve”. Non soltanto nel consueto nitore e nel grande scrupolo con cui Innocenti ricostruisce nel sia pur minimo dettaglio un mondo (anzi più mondi) ma nell’irrompere della Storia: dalla lotta in terra di Spagna contro il colpo di stato militare di Francisco Franco all’esplodere del secondo conflitto mondiale quando anche le navi che trasportavano derrate alimentari, come la Clementine, vennero adoperate per il tras p o rto di soldati e forniture verso l’Europa. Il protagonista è ormai diventato capitano, si è sposato con la figlia della lavandaia, hanno una figlia ma – come tutti i marinai – a casa c’è poco. E gli anni passano. “Abbiamo visto il mondo e siamo invecchiati insieme, Clementine e io”.Da una scritta sul muro di un porto e da un volantino parzialmente strappato si comprende che siamo nei primi anni ‘80 quando in Polonia si afferma il movimento sindacale di Solidarnosc. Finché un giorno la ormai decrepita Clementine fa naufragio e per il suo capitano giunge il tempo della famiglia. Roberto Innocenti ha lavorato per sei anni a questo libro, dopo il Cappuccetto Rosso. Come ben si sa i suoi tempi sono lunghi e meditati non soltanto per le tecniche usate ma per lo sforzo di documentazione che qui, fra l’altro, viene squadernato nelle pagine finali dove l’autore ci regala la sezione e le piante della nave, nonché una fascinosa doppia tavola con una cartina del mondo, delle rotte della Clementine e dei prodotti trasportati.S a rsî o mâ, rammendare il mare, si diceva da noi giusto a proposito di questi viaggi dove, nel corso del tempo, si toccavano tutti gli angoli del mondo. Ed è proprio questa tavola a ricordarmi che questa è in primis una storia che del mare e dei porti, nella loro struggente rappresentazione, sembra darci rumori e odori, voci e profumi. Ascoltando altresì gli indubitabili echi delle grandi storie: da Stevenson a Melville, da Conrad a London che Roberto Innocenti, peraltro, aveva già citato – direttamente o indirettamente, in altre sue opere. Poi si può dire che, a differenza di altri volumi, La mia nave è una vicenda più semplice e lineare.Vero, anche se in realtà la complessità si afferma con pre p otenza nel commovente rivelarsi delle tavole e in un’opera che è anche una metafora della vita e un “ catalogo dei destini”.
(Walter Fochesato su Andersen 358 – dicembre 2018)

Matita Hb (Il Castoro) di Susanna Mattiangeli
Le ragioni dell’assegnazione del Premio Andersen 2018 come Miglior scrittrice a Susanna Mattiangeli le ho dette diffusamente nel numero 353 (giugno 2018). Tutte ragioni che trovano perfetta conferma in questo libro – caleidoscopio ibrido, in quanto a forme e contenuti della narrazione – nel quale, grazie alla misura più distesa, la componente propriamente di racconto si fa appieno apprezzare; lo auspicavamo. L’avevamo già assaggiata ne I numeri felici ( Vànvere, 2017). Qui la protagonista è Tita, nomignolo di Matita, per esteso Matita HB, a sua volta nome d’arte della fittizia novenne compilatrice di una sorta di fantasioso zibaldone. Note di diario, appunti di storie, poesie, testi teatrali, annotazioni di lettura, lettere a se stessa e no, bigliettini e contratti tra amiche. . .Disposti sempre con la pertinente lingua e l’efficace sguardo d’infanzia, ora acuto ora scanzonato, che riconosciamo a Mattiangeli. Sarà divertente scorrere le fantasie di Tita; lasciarci introdurre ai suoi amici, famigliari e compagni; seguirne le vicende di cuore e di vita scolastica; condividerne simpatie e antipatie; giocare insieme nell’invenzione di storie e nel cimento con i numeri (sì, tornano); appassionarsi con lei delle avventure di Powercat, una supereroina che vorremmo continuare a leggere. Il libro è divert e n t e, molto, e a suo modo coraggioso e raro, staccandosi dalla consuetudine delle proposte editoriali più in voga. Esplora sia la tensione fantastica, e ludicolinguistica, della letteratura per l’infanzia sia la tensione formativa di tutta la letteratura, qui declinata nell’interrogarsi su di sé, per l’oggi e in proiezione futura; senza rinunciare al sorriso, pure di fronte alle consapevolezze e ai timori del crescere. Sintesi di questa molteplicità è offerta, ad esempio, da una lettera alla se stessa del futuro, nella quale Matita sconta la delusione per un po’ di casi, non ultima la mancata risposta di Clarissa Queen, l’immaginata autrice di Powercat. Ecco cosa scrive alla ‘grande’ che sarà: «Leggerai il mio quaderno e penserai che qui era tutto gioia e scherzi e cose buffe. Penserai: che carina che ero, ancora all’ABC della vita. Invece ti scrivo ora per ricordarti che il mio presente è pieno di D: Dolore, Delusione, Depressione e altre parole di questo tipo. Devi sapere che Clarissa Queen riceve centinaia di lettere e non può rispondere a tutti, ovvio, tantomeno a Matita HB, la Duecentonovantanovesima Dannosa Disturbatrice, che adesso è piena di Disagio, Disillusione e Dispiacere. Altra cosa. Jacopo Donati non mi parla. Perché? Sono piena di Dubbi, Domande, Disperazione. Non si accorge di me. Se continua così cadrò nella Denutrizione, nella Disidratazione, nella Decomposizione. Certo, anche io non gli parlo molto, anzi per niente, però parlo molto di lui a Nora che ascolta le mie Disgrazie, le mie Debolezze, la mia Desolazione» .
(Anselmo Roveda su Andersen 357 – novembre 2018)

SEZIONE RAGAZZI

Saturnino (Lapis) di Nicola Brunialti
Immaginate che la situazione della Terra sia così malridotta – terreni disboscati resi sterili da colture intensive, mari pieni di plastica – da non garantire più la sussistenza dei suoi abitanti, tanto da costringerli a cambiare pianeta. La famiglia di Saturnino dal paesino di Poggio Burrone intraprende un viaggio in capsule di ibernazione su un’astronave che, in quattro salti spazio-temporali, la porta sul pianeta Dakron. L’attività di famiglia non cambia, il papà continua a produrre gelato pur dovendosi adattare a nuovi ingredienti, ma tutto il resto sì: la lingua, i vicini, le materie di insegnamento, i compagni di classe di razze e forme diverse: dai verdi drakoniani con code e doppio cuore ai krung col naso a proboscide,ai klintoniani azzurri a macchie e via così. Saturnino è un umano rosa la cui provenienza non risparmia prese in giro, tanto più che si accompagna a una vecchia conoscenza delle elementari: Ciccio Perotti, più largo che alto, arrivato su Drakon un anno prima di lui. Presi di mira dal più popolare della scuola e dalla sua banda, i ragazzi vengono difesi da una tosta ragazza aliena che lancia una sfida agli avversari: saranno battuti nel campionato di Hockey Board, lo sport più amato del pianeta, che si gioca sullo skate. Sfida lanciata, squadra formata. Sette i componenti improbabili allenati da un vecchio campione, c h e,nascosto dietro la divisa da bidello, cerca di insegnare loro come la costruzione della vittoria cominci dall’atteggiamento. In tempi in cui anche il cinema regala storie edificanti in cui lo spirito di squadra viene prima della tecnica (vedi film come Non ci resta che vincere e 7 uomini a mollo) , Nicola Brunialti tesse una trama c h e, con una forte componente di descrizione tecnica e sportiva, mira a ragionare sull’approccio all’altro mettendo al centro l’umano improvvisamente diverso perché arrivato in un mondo completamente nuovo. L’autore sfugge al pericolo di cadere nella galleria di stereotipi grazie alla sua abile capacità narrativa, a cui ha abituato il lettore fin da Pennino Finnegan e la fa b b rica dei baci, costruendo un’avventura godibile, divertente, che funziona bene anche letta ad alta voce.
(Caterina Ramonda su Andersen 363 – giugno 2019)

Dentro il cuore di Kobane (Piemme) di Vichi De Marchi
Baluardo della resistenza curda in Siria, Kobane è punto tristemente strategico nella guerra civile che si trascina dal 2011, teatro, tra l’altro, del conflitto tra le forze dell’ISIS e l’Unione di Protezione Popolare, arrivato al suo apice nel 2014 con il tentato assedio della città.È in questo contesto che si muove la vicenda di Delal e Aniya, quindicenni amiche per la pelle che si ritrovano, dopo un periodo di distanza, in un momento fortemente drammatico per entrambe. La prima, infatti, è stata costretta ad abbandonare la scuola per sposarsi, con un uomo violento che l’ha sostanzialmente barricata in casa. Aniya, invece, ha la fortuna di essere nata in una famiglia benestante che crede nel valore della cultura e fervente di un moderato patriottismo curdo, manifestato nell’appoggio alla resistenza. Un sostegno non solo morale, dal momento che Leyla, la sorella di Aniya, compiuti i diciotto anni è partita per entrare nell’Unità di Protezione delle Donne, brigata femminile dell’Unità di Protezione Popolare.All’inizio di questo romanzo, però, scopriamo che Leyla è stata ferita a morte e la sua famiglia è stretta tra il dolore della perdita e l’orgoglio per il sacrificio della ragazza. Aniya, affranta dal dolore, ma desiderosa di mantenere vivo il ricordo della sorella, decide di raggiungere a Kobane le ragazze che hanno combattuto con lei; Delal, d’altro canto, desidera solo fuggire dal villaggio e dalle violenze del marito e si fa forte della presenza dell’amica per prendere una decisione che non avrebbe mai pensato di poter sostenere da sola. È un viaggio di formazione, il loro, disseminato di minacce e ostacoli, ma anche di incontri con persone preziose, disposte,anche nel pieno del conflitto, ad aiutare il prossimo. Vichi De Marchi ben amalgama le sue competenze di scrittrice e giornalista, per un romanzo che non tace nulla e ha il merito di fotografare la realtà di un conflitto ancora lontano dal concludersi e che, proprio per questo, necessita di essere raccontato, vissuto tra le pagine, conosciuto dai lettori più giovani. In primo piano, le ragazze curde, quelle che, nell’unicità dell’esperienza dell’Unità di Protezione delle Donne, combattono ogni giorno, tanto contronemici, quanto contro i pregiudizi di unretaggio culturale duro a scomparire.
(Martina Russo su Andersen 361 – aprile 2019)

Uma del mondo di sotto (BAO Publishing) di Marta Baroni
Il Mondo di Sotto, il Regno di Uma che il lettore incontra nelle carte di guardia,è ricco di toponimi azzeccati: Valle della Nostalgia, Deserto della Brama, Bosco dei Sogni, Miniera dei Desideri. Ma ci sono anche la polizia e il covo dei ribelli, visto che la regina sta rischiando la rivolta del popolo. Uma è una bambina vichinga in affido che vuole più di ogni altra cosa conoscere la sua famiglia di origine: è tosta, irride gli dei, inventa canzoni da guerriere e un giorno scende nel pozzo che si dice magico: ci vivono gli spiritelli del sussurro, che prendono nota dei desideri espressi da chi lancia nell’acqua una pietra. Uma ribalta tutto: li imprigiona e crea un regime di cui è la dittatrice che fa eseguire i propri desideri.Quando la storia vira ai giorni nostri, ecco Killian, adolescente pieno di rabbia per la situazione famigliare, a cui tocca seguire la madre, trasferita per lavoro in quel villaggio in mezzo al nulla e dove persino la bellissima Harper al loro secondo appuntamento non si ricorda di lui e manco del bacio che si sono dati. Sarà il pozzo a rispondere alle sue domande: Killian scopre il Mondo di Sotto e conosce alcuni dei suoi abitanti, pronti a ribellarsi a Uma, e a rivelargli che Harper è una creazione della regina, strumento per controllare cosa avviene tra gli umani e a cui vengono resettati i ricordi e la memoria. Nella gara delle Tre Grandi Prove, Killian si troverà a fare i conti con la potenza dei sogni e con la cecità a cui la rabbia conduce; sarà l’occasione per tutti di fare i conti coi propri demoni e per guardare nel fondo delle cose: qualcuno troverà il buio, qualcuno la forza e la speranza. M a rta Baroni costruisce un mondo complesso e dive rt e n t e, punteggiato dal parlare in rima degli spiritelli, e parallelamente personaggi in cui il lettore può rispecchiare emozioni e sensazioni; ne nasce una riflessione profonda e semplice – la semplicità delle cose dette per quelle che sono – su cosa significhi desiderare, tenere stretti i sogni che meritano, non perdersi tra le pieghe del superfluo, saper affrontare l’ora della resa dei conti. Ancora una volta il livello 3 della collana “BaBao “ offre un testo perfetto per i lettori adolescenti (e non solo!).
(Caterina Ramonda su Andersen 355 – settembre 2018)

Le amiche che vorresti (Giunti) di Beatrice Masini e Fabian Negrin.
Questo libro ha intanto un merito, almeno per me. Quello di riappacificarmi con un “genere”, quello delle biografie o dei ritratti al femminile. Importante, certo, ma che nel successo commerciale ha anche tracimato verso iniziative editoriale di scarsa qualità o dalle discutibilissime scelte, tipo inserire accanto a grandi figure della cultura o delle lotte dell’emancipazione, chi ben poco c’entra tipo Evita Peron o la a dir poco nefasta Ion Lady Margaret Thatcher. Insomma riparto dal bel libro a fumetti Cattive ragazze. 15 storie di donne audaci e creative, edito da Sinnos. Qui il taglio scelto da Beatrice Masini è decisamente originale (e rigoroso al tempo stesso). Le donne chiamate alla ribalta sono ventidue e tutte di carta, nate dal grande romanzo ora per l’infanzia, ora per gli adulti e, proprio per questa scelta limpida e audace, sono ancora più vere, nostre, universali. Ecco allora inseguirsi e giustapporsi la Marianna di Salgari e la Emma di Gustave Flaubert, la Alice di Lewis Carroll e Mary Poppins, Anna Karenina e Zazie (nel metrò) e via elencando. Per ognuna una scheda essenziale di presentazione, un ritratto affettuoso e pungente, un breve brano tratto dal libro dove sono nate e un “ritratto” di Fabian Negrin, sul quale mi soffermerò a breve. Senza dimenticare l’efficacia e la pulizia del progetto grafico. Certo la scelta non è stata facile ed è stata giustamente soggettiva ma il libro fila via liscio e intrigante, quasi ad invitarci a proseguire noi il gioco e a ricordarci di altre presenze e voci al femminile. Giustamente Negrin, chiudendo la sua premessa, ricorda Io splendido e celebre incipit di Alice nel paese delle meraviglie, che qui cito a memoria:“A che serve un libro senza figure?”.Volendo la risposta è nelle stesse tavole: l’incanto, lo stupore, il fascino, il gioco del vedere e dello scoprire e quello dei rimandi, di un fortissimo intreccio fra i testi e le figure e ancor più fra le figure stesse.
Certo Charity Tiddler della Murail e Lavinia di Bianca Pitzorno, la Bradamante di Ariosto e Boiardo, la Mary del Giardino segreto appartengono a mondi lontani, nel tempo e nello spazio. Per questo Negrin, in una superba galleria di ritratti, usa, da virtuoso, tecniche diverse ma, ancor più, cita, ricrea, allude in un gioco brillante e coinvolgente. La Bibi di Karin Michaelis è quella delle copertine di Hedvig Collin ma, al tempo stesso, per la prima volta ci viene mostrata a figura intera immersa in un paesaggio ampio e verdissimo e con negli occhi una luce nuova. Marianna Guillonk, amata da Sandokan, pare uscita da una copertina goffrata diAlberto DellaValle; dell’icona di Pippi Calzelunghe si colgono gli indubbi rapporti con la contestazione americana degli anni ’60 e non ci stupiamo se si fa beffe di chi guarda alludendo ad Andy Warhol. L’inafferrabile Zazie ci ricorda i collage di Jiri Kolar e Aleksandr Rodcenko; Bradamante ha un prezioso profilo rinascimentale che allude a Piero della Francesca e al Pollaiolo. Insomma ci sarebbe da soffermarsi, e non poco, su ogni singola immagine ma il piacere della lettura, di testi e figure, è bene lasciarlo interamente al lettore. Grande o “piccolo” che sia…
(Walter Fochesato su Andersen 361 – aprile 2019)

[Queste recensioni sono state pubblicate sulle pagine della rivista Andersen, mensile italiano di letteratura per bambini e ragazzi. Su ogni numero rubriche di segnalazione delle più interessanti novità editoriali, storie, percorsi e nuove tendenze della letteratura, dell’illustrazione e della cultura per l’infanzia, con un taglio giornalistico che invita alla riflessione e all’approfondimento anche un pubblico non esclusivamente di settore. La rivista è distribuita su abbonamento, qui informazioni (e promozioni!).]