L'ARTICOLO DEL MESE

La libertà del lettore. Intervista a Christophe Léon. di Mara Pace

Christopher Leon

Foto di Mara Pace per “Leggevo che ero”

Intervista a Christophe Léon, autore di Reato di fuga (Premio Andersen 2016), Granpa’ e La ballata di Jordan e Lucie, raccolta nei giorni del festival Mare di Libri

Christophe Léon ha cominciato a scrivere tardi, a quarantadue anni, dopo una carriera da sportivo professionista. Bloccato a letto da un periodo di malattia, non sapendo che cosa fare, ha preso carta e penna, e ha cominciato a raccontare. Le prime storie erano per adulti, poi la sua quarta figlia gli ha chiesto di scrivere qualcosa per lei. “Le ho risposto di no” racconta con un mezzo sorriso, “ma lei ha insistito.” Da allora non si è più fermato, perché le storie – questo è evidente – lo stavano aspettando, una di seguito all’altra, per essere raccontate dalla sua voce decisa, che scorre via rapida, asciutta, quasi cinematografica. Reato di fuga, vincitore del Premio Andersen 2016 per il miglior libro oltre i 15 anni, è diventato anche un film. L’autore però non lo consiglia. O quantomeno invita a leggere prima il romanzo.
Che cosa non lo ha convinto della versione cinematografica?
Il film è stato d’aiuto per far tradurre il libro in diversi Paesi, ma le immagini a volte mettono in prigione. Inoltre hanno scelto un finale chiuso, quando io avevo deciso di tenerlo aperto.  Non ero d’accordo, ma non ho potuto impedirlo. Non si scrivono bei libri basandosi solo sui buoni sentimenti, e anche un finale troppo chiuso, all’americana, priva il lettore della sua libertà. In generale, mi piace mostrare il meno possibile, raccontando attraverso le azioni, affinché chi legge possa immaginare. E anche perché possa riflettere, senza ricevere risposte preconfezionate.
Reato di fuga racconta la storia di due ragazzi. Sébastien, un quattordicenne un po’ viziato, si trova in macchina con suo padre la sera in cui investe (senza fermarsi) una donna. È la madre di Loïc, un ragazzo di diciassette anni che studia e lavora e che dopo quella notte si ritrova improvvisamente solo. L’idea di questo romanzo nasce da un fatto di cronaca?
In effetti sì. Da un articolo letto una mattina su Sud Ouest, dove in realtà si raccontava semplicemente la storia di un pirata della strada fuggito senza farsi identificare. Mi sono chiesto: e se accanto a lui ci fosse stato un ragazzo? Come si sarebbe comportato? Avrebbe continuato ad amare i propri genitori? Ho cominciato a scrivere, senza nemmeno sapere dove mi avrebbe portato il racconto. Ho lasciato che fossero i personaggi a guidarmi: sono stati loro a decidere che sarebbero diventati amici.
Sébastien e Loïc vivono situazioni contrapposte: a quale dei due personaggi si è sentito più vicino durante la scrittura?
Mi sentivo contemporaneamente vicino a tutti e due. All’inizio avevo usato la prima persona per entrambi, ma affrontando la seconda stesura ho deciso di alternare la prima e la seconda persona. Io e tu, per raccontare la vicinanza e la lontananza. Per dare maggiore profondità al racconto.
In questo libro si mettono in discussione i genitori.
Parlo da padre, perché ho cinque figli. Ai ragazzi dico spesso che non sempre i genitori sono davvero adulti, soprattutto i padri, che smettono di crescere a diciassette anni. Per quanto mi riguarda, ho avuto per molto tempo una visione negativa dei miei genitori. Siamo visti male dai nostri figli, questa è la verità. Ma ciò non vuol dire che gli adulti debbano dire sempre di sì. I no servono alla crescita.
È la prima volta che partecipa a Mare di Libri, un festival speciale, gestito dagli stessi ragazzi ai quali si rivolge.
I ragazzi sono davvero straordinari: fanno da guide, da interpreti e questo mi stupisce. In Francia non esiste un festival come questo, e in generale non ci sono festival come quelli italiani, che invadono le città e coinvolgono così tanti volontari. Forse dipende, per assurdo, dall’assenza di finanziamenti pubblici: quando nasce un festival, c’è sempre dietro un sincero entusiasmo. (Che dovrebbe essere sostenuto, incoraggiato e nutrito. ndr).

[L’articolo è uscito su Andersen 337 (novembre 2016). Scopri il resto del numero qui]

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