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Illustrare il fantastico – Intervista a Axel Scheffler di Mara Pace

axel scheffler leggevo che ero

Axel Scheffler nello scatto di Mara Pace per “Leggevo che ero”

Questa intervista è stata pubblicata su Andersen n.358, in occasione della copertina firmata da Axel Scheffler. Sostieni la rivista con un abbonamento: fino al 31 dicembre è attiva l’offerta di Natale!

Ci sono illustratori che scelgono di dedicarsi quasi esclusivamente a testi propri, e altri che preferiscono lavorare in coppia con gli autori, diventando interpreti delle loro parole, creatori di personaggi e ambientazioni. Non è raro che si formino coppie affiatate, che agli occhi del lettore diventano quasi indistinguibili. È il caso degli albi di Julia Donaldson – dal Gruffalò a Bastoncino – illustrati da Axel Scheffler, prolifico illustratore tedesco, inglese d’adozione, che ha lavorato anche su testi di Toon Tellegen, Carlo Collodi, T.S. Eliot. Lo abbiamo incontrato a Mantova, durante l’ultima edizione del Festivaletteratura.

Quando ha cominciato a lavorare con Julia Donaldson?
È stato l’editore a metterci in contatto. Julia Donaldson in quel periodo scriveva canzoni per la BBC, e Kate Wilson, che lavorava per la casa editrice Methuen, mi ha proposto di illustrare un testo che Julia aveva scritto per loro: l’albo illustrato Una casetta troppo stretta è nato così, nel 1993, senza che ci incontrassimo di persona. Ci siamo conosciuti quando era già in libreria. Tra quel primo libro e Il Gruffalò, però, sono passati diversi anni.
Anche dopo esserci incontrati, abbiamo continuato a lavorare in totale autonomia, con la mediazione della casa editrice: Julia decide cosa scrivere, lo manda alla nostra attuale editor, Alison Green, che poi me lo sottopone. Nella maggior parte dei casi, accetto di illustrarlo, anche se un paio di volte ho preferito rinunciare. Non credo di essere portato per le storie realistiche: preferisco testi d’ambientazione fantastica.

Nel suo mondo illustrato sono molto importanti anche gli animali e l’ambiente che li ospita. Che rapporto ha con la natura? È vero che non possiede un’automobile?
Sì, è vero. A Londra l’auto non mi serve. Posso usare la bicicletta o la metropolitana. Ho la patente, ma sono ormai quasi vent’anni che ho rinunciato alla macchina. La affittiamo solo di rado, per andare in vacanza. Cerco anche di volare il meno possibile, ma questo è già più complicato, visto il mio lavoro. Vedere ciò che stiamo facendo al nostro pianeta mi rattrista molto; amo gli animali e la natura e vorrei contribuire a proteggerli. Con Gli orribili cinque abbiamo sostenuto le attività di Tusk, un’organizzazione attiva in Africa per la tutela delle specie a rischio. È un albo in cui ho cercato di essere più realistico, anche se i miei animali non sono mai del tutto precisi: diventano necessariamente simili alle mie creature.

Su quale progetto sta lavorando in questo periodo?
The Smed and the Smoos, una sorta di Romeo e Giulietta ambientato nello spazio. Gli Smeds e gli Smoos non si mescolano mai, almeno fin- ché due di loro (Janet e Bill) non s’innamorano, vincendo l’opposizione delle rispettive famiglie. È un racconto sul valore della diversità culturale. In questo caso i margini di libertà per l’illustratore erano piuttosto ridotti, perché Julia nel testo indica i colori e alcune caratteristiche fisiche dei personaggi. Ho condiviso con la redazione lo studio dei protagonisti e i bozzetti delle singole scene, e una volta ottenuta l’approvazione di tutti – anche di Julia Donaldson (i cui commenti mi sono riferiti dall’editor) – sono passato al colore, per realizzare le tavole definitive che vedrete nell’albo.
Non è raro che nella prima fase di lavorazione emerga la necessità di qualche modifica: quando ho cominciato a lavorare a Una casetta troppo piccola, mi hanno chiesto di rendere il personaggio principale più amichevole e grazioso; senza l’influenza dell’editor, la vecchina della storia sarebbe stata completamente diversa! Qualcosa di simile è successo anche per Il Gruffalò, quando Alison Green mi ha chiesto di rendere il personaggio “meno spaventoso”.

 

A questo proposito: in Rete ho trovato una divertente vignetta in cui immagina di “lottare” con il Gruffalò. È stato difficile immaginare questo personaggio?
È una vignetta inviata a un mio collega illustratore, con il quale in quel periodo dialogavo spesso via fax. In effetti mi sono trovato parecchio in difficoltà, quando si è trattato di illustrare il Gruffalò, anche se non ricordo le ragioni precise: di sicuro è stata una vera lotta. Comunque sia, il libro ha avuto successo, quindi non ho ripensamenti. Con il passare del tempo e la maggiore esperienza, illustrare albi illustrati è diventato più facile.

Torniamo alle richieste degli editor: come vive il rapporto con loro?
Quasi tutti i libri che ho illustrato dopo Una casetta troppo piccola, hanno avuto lo stesso editor, Alison Green. Quando vuole qualcosa, lo dice chiaramente: non abbiamo mai avuto grosse divergenze. In Inghilterra le case editrici hanno idee molto precise su che cosa funziona in libreria; credo che in Francia o in Germania ci siano meno interferenze nel lavoro di scrittori e illustratori. Vivere di soli albi illustrati non è facile, perciò ho sempre ascoltato volentieri le indicazioni dell’editore, che nel mio caso hanno portato a risultati positivi.

 Che consigli darebbe, da questo punto di vista, a un giovane illustratore?
Trovare un buon editor è importante, anche se ciascun illustratore deve scegliere quanto è disposto a modificare il proprio lavoro in base a richieste esterne: è una decisione personale. Per quanto mi riguarda, ritengo che i libri per ragazzi non siano un’arte totalmente libera, bensì applicata, con un obiettivo preciso: creare qualcosa che genitori e bambini possano condividere con piacere. Molti editori sanno quello che fanno, quindi a volte è bene ascoltarli (ride, ndr).

Come suo libro d’infanzia, per lo scatto fotografico di Leggevo che ero, ha portato Petzi di Carla e Vilhem Hansen, una serie pubblicata in Danimarca negli anni ’50 (in Italia edita da Vallardi negli anni Settanta e apparsa anche sul Corriere dei Piccoli). Può raccontarci che cosa la lega a queste storie?
Non avevo molti albi illustrati quand’ero bambino, però amavo Petzi, una serie a fumetti senza balloon, con il testo scritto sotto le immagini. Sono storie fantastiche: le avventure di cinque animali che girano il mondo a bordo della loro barca. Non so dire quanto mi abbiano influenzato, come autore, ma è probabile che qualcosa sia rimasto. Il primo volume l’ho ricevuto in dono dai miei genitori, e tutte le volte che ne avevo occasione – per una visita dal dentista o in caso di malattia – chiedevo altri episodi. Casa nostra era piena di libri, i miei genitori leggevano molto, ma raramente lo facevano insieme a me: l’amore per le storie è qualcosa che ho scoperto da solo.

Nei suoi albi illustrati, a partire da Papà scoiattolo cade dall’albero (del quale è autore completo), ci sono molti padri. Legge spesso con sua figlia?
Sono diventato padre piuttosto tardi, quando avevo quarantanove anni: mia figlia ha compiuto undici anni quest’autunno. Leggiamo spesso insieme, anche se è difficile che lei affronti un romanzo da sola. Non ne capisco la ragione: condividere i libri, in fondo, piace a tutti e due; è un rito che ripetiamo ogni sera. La lettura condivisa è un’esperienza che consiglio davvero a tutti: chi trova il tempo di leggere con i propri figli non può che esserne felice. Di solito sono io a proporre i titoli, ma sempre seguendo i gusti di mia figlia: il fantastico non le piace, preferisce storie realistiche. Infatti non ha mai dimostrato gran- de interesse per i miei albi.

Un titolo che avete particolarmente amato?
Tutta colpa delle meduse di Ali Benjamin.

Quando è diventato illustratore per bambini?
Da adolescente ero affascinato dal lavoro di Edward Gorey, ma non pensavo che sarei diventato a mia volta illustratore. Ho provato a studiare storia dell’arte, ma non faceva per me: non ero tagliato per l’accademia, così ho abbandonato. Dopo un periodo d’indecisione mi sono trasferito in Inghilterra, dove ho frequentato un corso in comunicazione visiva: grafica, fotografia e illustrazione. Negli anni Ottanta, a Londra, il lavoro per gli illustratori non mancava. Così, finito il corso, ho cominciato a girare con il mio portfolio e, dopo qualche lavoro in ambito pubblicitario, mi sono avvicinato alle case editrici per ragazzi.

Quali sono i suoi strumenti del mestiere?
Sulla mia scrivania ci sono acquerelli, inchiostri, matite colorate: ho un approccio molto tradizionale all’illustrazione. Disegno tutto a mano, anche se a volte – in caso di errori – chiedo all’editore di intervenire in Photoshop.

Lei è nato in Germania, ma vive in Inghilterra da molti anni: che cosa ne pensa della Brexit?
Credo che sia un grandissimo errore lasciare l’Unione Europea. Non tutto è condivisibile, ma nel suo complesso l’Europa ha contribuito a mantenere la pace e a promuovere il benessere. Buttare tutto all’aria è molto pericoloso. A novembre, a questo proposito, è uscito per Macmillan Drawing Europe Together, con la mia prefazione e il contributo di quarantacinque illustratori (Oliver Jeffers, Quentin Blake, Judith Kerr, Chris Riddell e molti altri, ndr).