[questo articolo è apparso su Andersen n. 320 – marzo 2015, disponibile sul nostro bookshop] – L’educazione alla lettura alimenta le nuove generazioni e nutre realtà professionali e competenti su tutto il territorio nazionale.
DI MARTINA RUSSO – Con la cultura non si mangia. Meglio imparare un mestiere. Studiare non serve a nulla, tanto non c’è lavoro. Molto bene, il percorso di chi vuole lavorare in questo campo è costellato di asperità, è discorso ben noto. L’ottimismo non va di moda di questi tempi, la ricerca delle competenze meno che meno. Un numero sempre inferiore di italiani leggono, sempre più ragazzi abbandonano gli studi. Crisi dei licei, crisi della scuola, crisi dei lettori. Crisi.
Un quadro non proprio consolante, quello a cui siamo sottoposti ogni giorno: quando si parla di cultura e di promozione della stessa è facile vedere comparire espressioni rassegnate – quando non infuriate – unite alla progressiva sfiducia verso crescita e miglioramento. A questo si aggiunga che in Italia, spesso, troppo spesso, si insinua anche ad alti livelli la sottile confusione tra professione e volontariato. Strascico d’altri tempi, forse, o di una retorica un po’ idealista e un po’ romantica che concepisce chi si occupa di cultura come missionario del bene comune, con un’investitura da servizio pubblico, che poco tiene conto del lavoro, per l’appunto, e di una professionalità necessaria e non improvvisata.
Nell’ambito della promozione della cultura e della lettura per l’infanzia a muoversi sono in molti – questo numero di Andersen ne è la prova – ma cosa vuol dire fare di questa proposta una vera e propria professione?
Per Teresa Porcella – libraia della fiorentina Cuccumeo, ma anche presidente dell’Associazione Librerie Indipendenti Ragazzi, editor e docente universitaria – significa innanzitutto avere una sorta di “doppia coscienza”: «la capacità di saper fare bene questo lavoro arriva proprio dalla commistione dell’elemento più razionale – le conoscenze, l’aggiornamento, l’esperienza – con la capacità di sapersi mettere in discussione e lasciarsi andare a quello che la lettura ti provoca. La lettura è una malattia contagiosa, se non ne sei affetto sarà difficile trasmetterla. Diciamo che chi promuove la cultura ha questo strano compito: è malato e medico allo stesso tempo». Ragione e sentimento, dunque. Ma anche competenza ed entusiasmo, insieme: «A volte è difficile far passare il concetto che anche questo è lavoro. Questa è una delle cause che hanno portato l’Italia alla situazione attuale: siccome tutto ciò che ha a che fare con l’arte e la cultura è una missione deve essere possibilmente gratuito, sull’onda dell’entusiasmo e pensato come qualcosa che non abbia niente a che fare col vile denaro. Un grande e inaccettabile equivoco».
Anche per la cooperativa modenese Equilibri, impegnata dal 1999 nella costruzione di progetti di promozione quello di educare alla lettura è «un lavoro a tempo pieno, declinato nelle sue diverse sfaccettature: lavoro con i bambini e i ragazzi, formazione rivolta agli adulti, progetti di lettura. Nella convinzione che la lettura sia una priorità educativa, e che educare alla lettura sia di fondamentale importanza ai fini della costruzione dell’identità delle nuove generazioni» racconta Gabriela Zucchini. «Vivere di cultura, e con la cultura, è una vera sfida. Molto dipende dalla nostra capacità progettuale, anche se l’attuale contesto di crisi sta tagliando risorse e opportunità, mentre d’altra parte si va complicando il quadro normativo di riferimento. Questo soprattutto nel caso di professionalità come le nostre, non riconosciute e non codificate. E forse definirle aiuterebbe anche la lettura ad uscire da una lunga fase di improvvisazione e di spontaneismo durante la quale sono avvenute un’infinità di cose, non sempre positive (cioè non sempre funzionali all’obiettivo di crescere lettori)».
Un obiettivo che nell’ansia da progettazione non bisogna farsi sfuggire, rischiando di dimenticare chi sono i destinatari della promozione: «Quando parliamo di promozione della lettura dobbiamo tenere a mente lo scopo del nostro lavoro: che ci siano più lettori. Quindi che ci siano più bambini che leggano, che diventino fruitori delle librerie e utenti delle biblioteche, che abbiano voglia di avere un libro in mano e leggerlo» segnala anche Carlo Carzan, dell’associazione palermitana Così per gioco. «Professionalità per noi vuol dire anche cura dei dettagli. C’è un lavoro molto approfondito dietro la preparazione delle attività, dei laboratori, delle proposte di lettura: per creare una singola animazione sul libro di solito lavoriamo in tre persone, con competenze diverse, ma in dialogo. È un confronto fondamentale per preparare percorsi che non siano inutili o autoreferenziali, ma che ci facciano calare nei panni di chi lo andrà a svolgere, per rispondere a una necessaria domanda: “Mi piacerebbe questa attività?”. Anche questo rientra nella professionalità, altrimenti rischi di fare soltanto quello che piace a te».
Ma come accendere la scintilla del piacere della lettura? Donatella Trotta, che alla cultura dell’infanzia dedica sia la sua professione di giornalista sia di animatrice dell’associazione Kolibrì di Napoli, afferma: «Mi è capitato spesso di pensare – anche da ex insegnante – a come arginare l’emergenza della disaffezione alla lettura e mi sono resa conto di quanto sia importante la figura di un mediatore. Soprattutto in situazioni di disagio sociale – in quelle famiglie dove l’unico libro che entra in casa è il sussidiario – c’è bisogno di persone che riescano ad appassionare bambini e ragazzi. Con Kolibrì che, grazie alla collaborazione di amici come Bruno Cantamessa ha dato vita ad un progetto articolato e inclusivo come Girogirotondo cambia il mondo – abbiamo toccato con mano quanto bisogno c’è di un impegno quasi a rete, che supporti le famiglie e le scuole che disattendono questo ruolo educativo principe, che non è insegnare a leggere e a scrivere, ma accendere questa scintilla dell’amore verso i libri. Quello che è davvero necessario non è un intervento occasionale, episodico, frammentario – per quanto nobile – ma un’azione possibilmente sistematica».
Riflessione condivisa anche dall’associazione culturale Hamelin di Bologna che, indirizzando la sua proposta in tre grandi direzioni (la narrativa, l’illustrazione e il fumetto), fa coincidere professionalità con continuità e coinvolgimento, pensando i libri come strumento per leggere la quotidianità, soprattutto nell’approccio con gli adolescenti. «La nostra modalità di lavoro nasce dal confronto diretto tra narrazione e vissuto. Per creare percorsi cerchiamo di partire da alcune “urgenze pedagogiche”, trovando dei filtri per non rendere il tutto didascalico o pesante. Sostanzialmente ci facciamo un sacco di domande. Che non significa che vogliamo che alla fine di quel percorso i ragazzi arrivino a darci una risposta, ma che arrivino a porsi loro stessi delle domande. Si parte da qualche storia e poi, seguendo quello che il gruppo trasmette, si prosegue. Il che significa anche che non sappiamo mai quello che racconteremo alla classe. Parte della nostra professionalità sta nel conoscere tantissime storie e saper scegliere quale storia raccontare nel momento e con le persone giuste».
Approcci diversi, destinatari diversi: il filo rosso che collega tutte queste realtà è però il fatto di aver contribuito a creare figure professionali di supporto – in certi casi di soccorso – alle difficoltà di un sistema che si è progressivamente sgretolato sotto i colpi della recessione. Ma la fatica talvolta è proprio quella di trovare e mantenere un dialogo con le istituzioni, specialmente in periodo di cambiamenti e passaggi di consegna. Con le dovute eccezioni. Isola felice per eccellenza, in Italia, è la regione Friuli Venezia Giulia che sta sottoscrivendo un accordo con gli assessorati di istruzione, cultura, sanità per la promozione della lettura da zero a diciotto anni. È su questo territorio che l’associazione Damatrà promuove Crescere leggendo, progetto che unisce le sinergie di Nati per Leggere, dell’Ente regionale Teatrale del Friuli, dell’associazione culturale 0432, del Teatro Stabile di Innovazione e del Sistema delle Mediateche. «Damatrà intende la promozione della lettura come tassello di un processo educativo da condividere con le scuola, le famiglie, i presidi culturali e più in generale con una comunità educante, il cui obiettivo è crescere lettori» racconta Mara Fabro, coordinatrice del progetto insieme a Elisabetta Cocetta. E i risultati si vedono. «In pochi anni, e grazie al fondamentale apporto della locale sezione dell’Associazione Italiana Biblioteche, il progetto ha dato vita alla più grande rete culturale della regione. Ad oggi coinvolge oltre 160 biblioteche ed altrettante scuole e amministrazioni, rivolgendosi a oltre 14.000 bambini dai sei ai dodici anni, attraverso una molteplicità di esperienze dislocate tra scuole, biblioteche, teatri, cinema e musei nella convinzione che il libro vada collocato al centro del sistema cultura».
Allora, sì, viene da dire, con la cultura si mangia. Si può mangiare. D’accordo, si dovrebbe poter mangiare con porzioni più abbondanti, pietanze più saporite, si può fare di meglio. D’altra parte si possono fare dibattiti, discussioni, sondaggi e inchieste: la “tuta da lavoro” calzerà sempre un po’ larga sul professionista della cultura; forse perché la passione e l’entusiasmo – per fortuna – ci sono effettivamente, emergono anche da queste pagine, e non possono essere rinchiusi in un rigido inquadramento. Detto questo però, e anzi a maggior ragione, non bisogna dimenticare, pare quasi scontato a dirlo, che il valore del lavoro culturale va di pari passo col valore della nostra società: istruzione, crescita, sviluppo. E adesso la palla passa a chi può – e deve – trovare soluzioni e risorse.
[illustrazione in alto di Sara Benecino, tratta dal libro Che differenza c’è tra un libro e un bambino? (Nord-Sud, 2015)]