L'ARTICOLO DEL MESE

Orizzonti futuri di Anselmo Roveda

Oltre la contingenza. Libri e lettura: una riflessione a margine della cinquantesima edizione della Fiera (e della crisi)

img_aprileLa Fiera è un appuntamento di lavoro e un’occasione di festa; è la sede privilegiata degli scambi commerciali, delle relazioni professionali e dell’avvio di progetti editoriali, ma è anche il luogo nel quale intraprendere, continuare, riannodare e sperimentare relazioni sociali, dal vero, con gli altri membri della comunità che fa e vive di letteratura e illustrazione per l’infanzia. Quest’anno, oltre agli impegni di lavoro, non mancheranno certo le occasioni di festa: ricorre il cinquantesimo della manifestazione. A margine del lavoro e della festa, proprio per creare le opportunità che né l’uno né l’altra vengano meno, sarà bene provare a riflettere sullo stato di salute dell’editoria. E già, perché oggi – lo dirò brutalmente, senza girarci troppo intorno – la salute non è delle migliori: di lavoro ce n’è poco e da festeggiare c’è ancor meno. Pur sempre tenendo conto che spesso, quando pensiamo al settore “editoria”, abbiamo in mente ancora solo – o prevalentemente – quello fisico, quello del libro di carta.
In ogni caso, la salute non è buona. Colpa delle crisi, e non solo. Il Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2012 dell’AIE – Associazione Italiana Editori lo dice chiaro: il mercato del libro nel 2011 è entrato in un cono d’ombra e nel 2012 è peggiorato. Le statistiche non mi appassionano e non bastano; a suon di incrociare dati si finisce con il farsi incrociare gli occhi e avere pure qualche intorcinamento di stomaco. Un’occhiata però bisognerà pur darla, giusto per rendersi conto di alcune contraddittorietà e avere comunque un quadro d’insieme. Quello che alla fine giustifica una certa confusione degli operatori anche nelle analisi e nella definizione delle prospettive. Per carità, contrazione e confusione non sono esclusiva del settore editoria, si è in buona compagnia (anzi, va meglio che altrove; questo non consoli).
A guardare la sintesi L’editoria italiana in cifre (aggiornata al 10 ottobre 2012), sempre di AIE e riferita agli anni 2010 e 2011, si evidenzia che nell’intervallo di tempo preso in esame: il PIL è cresciuto di meno di un quarto mentre l’inflazione è raddoppiata; il mercato contrae e la produzione va in altalena, però aumentano, seppur di poco, le copie complessive tirate (diverso se si va a analizzare singolo titolo o singolo settore); i canali di vendita sono in difficoltà (e a sentire i librai medi e piccoli il dato si sostanzia di storie amare); case editrici chiudono e altrettante aprono; soltanto l’editoria digitale cresce molto, ma partiva da numeri davvero bassi. E gli ultimi mesi non mi pare abbiano segnato particolari controtendenze.
A sbirciare altre statistiche non va meglio, la confusione aumenta. Scegliamone due: classifiche di vendita e dati di lettura. E tacciamo quella degli occupati che ha situazioni in divenire; con numeri forse, infine, sostanzialmente stabili ma con chiari slittamenti verso l’esternalizzazione e la precarizzazione (anche qui non diversamente da altrove; pure questo non consoli).
Le classifiche di vendita 2012 (fonte: “Giornale della Libreria”, febbraio 2013), per quel che contano in questo nostro ragionamento (ma contano assai quando parliamo di immaginario), hanno visto nel corso dell’anno, per quel che concerne i libri per ragazzi, entrare nella Top 20 assoluta solo tre fenomeni editoriali – la Schiappa, Geronimo Stilton, Peppa Pig – mentre a soffermarsi sulla Top 10 Ragazzi del mese di dicembre troviamo ben otto titoli di Peppa Pig, la maialina star del piccolo schermo.
La lettura dopo la flessione del 2011, che tanto preoccupò gli analisti, torna a crescere con un +1,2% sull’anno precedente; cifre ancora imbarazzanti: solo il 46% degli italiani ha letto almeno un libro negli ultimi 12 mesi. 26.229.000 persone delle quali solo la metà legge più di quattro libri all’anno. Il che vuol dire che tolti i due libri estivi, da ombrellone, e quello regalatoci a Natale ne resta solo un altro da piazzare. Senza tener conto che lettori come il mio amico Dimitri Scisci, Walter Fochesato – spulciate, sugli indici di “Andersen”, il numero di recensioni a sua firma – o Caterina Ramonda – guardate il blog Le Letture di Biblioragazzi – invalidano le statistiche, tanto più che ritengo non abbiano letto neppure un Peppa Pig.
A parte gli scherzi e riposti i dati, proviamo a non lasciarci andare alla confusione o peggio allo scoramento, talvolta legittimo, che sembra prevalere nelle analisi e nei sentimenti dei diversi attori della filiera del libro.
Non basta oggi applicare semplicemente e acriticamente distinzioni manichee – tra buoni e cattivi o grandi e indipendenti – come è stato evidenziato anche in rete da Diletta Colombo, novella libraia in Milano. Non basta però neanche più soffermarsi solo sulle buone pratiche; che pure è interessante studiare e condividere. Così come non serve a nulla arroccarsi su torri snobistiche presumendo che alcune posizioni di vantaggio, magari maturate o ricercate extraeditoria, coincidano con la realtà diffusa (in ogni caso il prestigio, auto – o etero – certificato poco importa, non sfama da solo). O presumere che una pratica di sussistenza possa essere giustificata o peggio teorizzata: l’esito – quale che sia la genuinità delle intenzioni – resta elitario. Chi fa libri deve, dovrebbe, sperare di incontrare il maggior numero di lettori. O ancora minimizzare dando ragione a chi – per ingenuità o furberia – pensa che la crisi sia soprattutto un fatto psicologico, una mancanza di ottimismo. Gli ottimisti a ogni costo sembrano davvero ripercorrere quel vizio antico che Livio Maitan, commentando tutt’altri casi, individuava “nel sostituire l’analisi con la speranza, in altre parole a prendere i propri desideri per la realtà”. Non sto, come avrete capito, con gli ottimisti nell’angolo del tepore. Così come non sto con i pessimisti in balia del torpore. Ritengo che, soprattutto questi ultimi, abbiano affastellato nella fotografia della situazione attuale, quando non nel paniere dello sconforto, ragioni che andrebbero invece opportunamente tra loro distinte. Hanno cause, prospettive e soluzioni troppo varie per essere indistintamente confuse.
L’attuale contingenza del settore in Italia è determinato da almeno tre fattori: crisi economica sovranazionale, ridefinizione dei supporti di fruizione della narrazione (e più in generale dei contenuti), situazione politica nazionale. Sono tre piani che vanno analizzati e affrontati in modo separato. Senza tener conto di un quarto e altrettanto determinante fattore, più proprio e antico, e cioè i rapporti di potere all’interno della filiera del libro; ma di questo si è già detto molto ed è stato recentemente evidenziato – d’accordo o no col Manifesto – dall’Osservatorio degli Editori Indipendenti.
Provare a analizzare i diversi ambiti problematici in modo indipendente è una delle strade per non farsi travolgere dall’impatto che il loro intreccio sta determinando sull’editoria italiana e sull’atteggiamento nei confronti della lettura nel nostro Paese. Le questioni sono complesse e in profonda interconnessione, nessuno ha ricette magiche. Ma se come comunità del libro quasi nulla possiamo rispetto alla macroeconomia, e poco possiamo fare – se non come cittadini – rispetto alla governabilità e alla politica nazionale, certo molto possiamo fare per cogliere la ridefinizione dei supporti come opportunità. Non vuol dire abbandonare la carta, vuol dire valorizzarne le potenzialità, differenziare le proposte.
Infine, e questo richiama con forza in causa la dimensione politica, non si dovrebbe rinunciare a definire un patto – non necessariamente calato dall’alto, dalle istituzioni – che riaffermi la centralità della cultura e ne rilanci la sostenibilità economica. Questo lo si può fare. Bisogna però percepirsi e agire come comunità, portatrice di interessi specifici (la sopravvivenza e poi lo sviluppo del settore) e generali (la promozione della lettura quale opportunità per il futuro del Paese). Diverse realtà, penso in primis al Forum del Libro, ci stanno provando nonostante tutto.
Per quel che mi sta a cuore ritengo due le questioni centrali per il futuro. Una per l’editoria e una per la lettura: imprese culturali con priorità di qualità e filiera etica – capaci quindi di creare e muoversi in una rete professionale larga, improntata alla cooperazione e all’equa ridistribuzione (inutile qui toccare e rivedere l’annosa questione della suddivisione percentuale di come si compone il costo di un libro e relativa destinazione dei proventi); e piano nazionale di promozione della lettura che veda scuola e biblioteche protagoniste, coinvolgendo gli editori senza bypassare le librerie. Ma questi sono i miei desideri, non la realtà. E assunta la lezione di Maitan, sarà bene allora approfondire le analisi senza timori.
Nel frattempo occorrerà darsi da fare come in quella storiella delle due rane cadute nel contenitore del latte. Una si scora e si lascia annegare, l’altra non si dà per vinta e tanto fa che alla fine il latte diventa burro, finalmente le zampe hanno appiglio per il balzo che la porterà in salvo. Ecco, mentre approfondiamo le analisi, ci auguro di “fare burro”.

Questo articolo è apparso sul numero 301 di Andersen (aprile 2013), leggi l’indice e scopri il resto del numero

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