L'ARTICOLO DEL MESE

Sguardo italiano di Anselmo Roveda

Foto di Alexander Heimann – Frankfurter Buchmesse

Questo articolo di Anselmo Roveda, che riflette su editoria e letteratura per l’infanzia partendo dai dati quantitativi, è pubblicato su Andersen n. 386. Sostieni Andersen con un abbonamento annuale!

In attesa della Buchmesse di Francoforte, e di nuovi dati del sempre prezioso Ufficio Studi dell’Associazione Italiana Editori (AIE), proviamo a fare un ragionamento sullo stato di salute dell’editoria in Italia, anche guardando a questi anni strani, e strazianti, di pandemia. La fotografia dei primi mesi del 2021 offerta da AIE fa ben sperare; in linea con i segnali che, prima della pandemia, avevano indicato nel Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2020 come il 2019 si fosse chiuso con un +4,8% a valore per i canali trade e con un sorprendente +3,4% in termini di copie vendute; era la prima volta che accadeva dall’inizio della lunga crisi avviatasi nel 2010. Per la prima volta da quasi un decennio si era tornati a un valore di fatturato assai prossimo a quello del 2011. Poi, nei primi mesi del 2020 con il propagarsi della pandemia da virus SARSCoV- 2 (e conseguente malattia Covid-19), tutto è cambiato.

È arrivato il confinamento, si sono determinati nuovi scenari. Sono cambiati giocoforza gli equilibri tra vendita in libreria e vendita online, sono aumentate le fruizioni di ebook e audiolibri, ma il cartaceo ha complessivamente tenuto. In generale, la fruizione di opere e prodotti culturali ha vissuto enormi contraddizioni con l’imposta immobilità di alcuni ambiti (teatro, cinema…) e l’incremento di altri (piattaforme digitali). L’editoria e il mondo letterario hanno patito l’iniziale chiusura delle librerie e poi la protratta cancellazione degli appuntamenti in presenza (fiere, festival, incontri e presentazione dei nuovi volumi), spostandosi su surrogati online; importanti per non perdere collegamento tra attori della filiera e con i lettori, ma pur sempre surrogati. Nei primi mesi di diffusione della pandemia, inoltre, si è assistito alla momentanea cancellazione e alla posposizione di migliaia di titoli annunciati; salvo poi recuperare le programmazioni fin dall’estate e dall’autunno 2020. I consumi culturali in fatto di lettura, nonostante tutto questo, hanno fatto registrare dati rassicuranti; pur, come detto, momentaneamente spostando gli equilibri a favore di canali d’acquisto online e ampliando la fruizione di nuove forme (e-lettura, ascolto audiolibri).

Il confinamento, con la dilatazione dei tempi a casa, insomma, ha fatto leggere (e ascoltare) più libri. Il 2020 è stato, non solo per l’editoria beninteso, un anno eccezionale. Eccezionale nel suo significato, precisa Treccani, di “che deroga alla norma ordinaria, talora per un tempo determinato, e in vista di particolari e gravi circostanze”; impossibile paragonarlo quindi a quelli precedenti in fatto di consumi culturali e abitudini di lettura. Imparagonabile, ma assai interessante da analizzare, soprattutto in relazione a come ci ha preparati e traghettati a questo 2021. Il 2021, per quanto non ancora cessata l’emergenza pandemica, ci avvia auspicabilmente a una nuova normalità, soprattutto grazie all’efficacia delle azioni di contenimento del virus (campagna di vaccinazione, norme di comportamento). Una nuova normalità anche per la filiera del libro. E, come detto, i dati del primo semestre restituiscono una fotografia assai interessante e altrettanto benaugurante.

Fotografia di Charles O’Leary – Frankfurter Buchmesse

Le comunicazioni AIE Effetti del COVID-19 sul mercato e i comportamenti d’acquisto in questa prima parte del 2021 (21 giugno 2021) e Un sogno, una realtà di mezza estate. Il mercato del libro in Italia nei primi sei mesi del 2021 (13 luglio 2021) – così come già l’intervento del suo presidente Ricardo Franco Levi, Lo stato del libro in Italia e in Europa nell’anno della pandemia (21 gennaio 2021), alla Scuola per librai Umberto ed Elisabetta Mauri – ci parlano, infatti, di un settore in ripresa, capace di segnali di vivacità. Tutti materiali, visibili sul sito AIE, a cui rimando per dettagli quantitativi dall’immediata interpretabilità qualitativa. Dati e tendenze evidenziate, con particolare attenzione alle abitudini di lettura, anche nella presentazione Dall’emergenza a un piano per la ripartenza (31 marzo 2021), tenuta da Giovanni Peresson dell’Ufficio Studi AIE, in occasione dell’uscita dell’omonimo Libro bianco sulla lettura e i consumi culturali in Italia (2020-2021) indagine, giunta alla seconda edizione, voluta dal Cepell (Centro per il libro e della lettura) in collaborazione con l’associazione. Indagine nella quale si evidenzia che in Italia a fine 2020, considerando oltre ai libri a stampa anche ebook e audiolibri, il mercato è cresciuto del +2,3%; segnale positivo pure a livello europeo, superato solo da pochi paesi da sempre culturalmente virtuosi come quelli d’area scandinava.

 

Per il nostro paese la criticità continua però a risiedere nell’indice di lettura, attestato al 61%; indice inferiore, talvolta in modo consistente, rispetto a quello delle altre grandi nazioni europee: Spagna (68%), Germania (69%), Regno Unito (86%), Francia (92%). Indice che viene però raccolto su lettori per lo più adulti (+15); per contro sappiamo, da serie storiche, che in Italia l’infanzia e l’adolescenza rappresentano le età di maggior rilievo nella fruizione di libri e nella pratica della lettura. Editoria dinamica, nonostante tutto, e presenza di lettrici e lettori, soprattutto nelle prime età della vita, ci portano a interrogarci anche su quali libri – quali letterature – abbiano significativa penetrazione e rilevanza nel settore infanzia e ragazzi in Italia. E viceversa a ragionare sull’esportazione di letteratura e libri italiani verso l’estero; tema già al centro di due miei articoli usciti in occasione di precedenti Buchmesse: Italians. Libri e autori italiani nel mondo (n. 316, ottobre 2014) e Onda italiana. Editoria, libri per ragazzi e export (n. 336, ottobre 2016). A proposito di questa seconda questione rimando dunque a quegli articoli, nei quali si dovrà aggiornare il dato sull’internazionalizzazione dell’editoria italiana per ragazzi (il settore che vende maggiormente: il 38% di tutti i diritti italiani ceduti all’estero contro il 26,3% della narrativa adulti, il 20,6% della saggistica, il 10,5% degli illustrati, il 4,6 della manualistica; dati AIE, 2019) e aggiungere una relativa considerazione sull’emersione, nel lustro trascorso, di dinamiche realtà (agenzie di servizi e di diritti) capaci di supportare editori e autori nel proporsi sui mercati esteri.

Padiglione Italia

Soffermiamoci allora un istante sulla prima questione e soprattutto sugli interrogativi – spesso ingenui, sovente malinformati, talvolta ubbiosi – intorno alle proporzioni tra autori italiani e autori stranieri nei cataloghi, nelle classifiche, nei premi. La questione generale è presto risolta: le novità editoriali nel settore ragazzi sono, grossomodo e da tempo, equamente divise tra libri di autori italiani e libri di autori stranieri; anzi, con un recente netto vantaggio per i connazionali (il 34,1% di tradotti nel settore ragazzi, secondo il rapporto ISTAT Produzione e lettura di libri in Italia per il 2019). Anche arrotondando per ampio difetto e restando cauti, resta – riferendosi agli ultimi venti anni del settore ragazzi di qualità – quantomeno un 50 e 50, così come ci sembra confermare anche lo spoglio dei Rapporti annuali curati dagli amici di «Liber».

Gli interrogativi sulla percentuale di presenza degli autori italiani nel panorama della proposta editoriale e sulla loro valorizzazione in relazione ad autori esteri, invece, si incanalano spesso in domande assai confuse e generiche, rischiosamente qualunquiste, del tipo “perché privilegiare le letterature straniere?”, “perché non valorizzare maggiormente gli autori nostrani?”, “cosa hanno di meno le scrittrici e gli scrittori italiani?” Interrogativi che in ogni bella stagione, in tempi di Premio Andersen, ci coinvolgono direttamente; diventando “perché così pochi libri italiani?”, “perché così pochi autori italiani?”, in riferimento a finalisti e premiati (peraltro una scorsa attenta all’albo d’oro non parrebbe giustificare la reiterata insinuazione, ma passiamo oltre). Di solito a queste domande – di rado poste direttamente, più spesso annidate in post dai toni di patriottarda reprimenda moralizzatrice – rispondiamo prima con un sorriso, giusto per allontanare l’idea che nel nostro settore si possano celare tentazioni dalla sfumature sovraniste e becere (il “Prima gli italiani!” lo lasciamo volentieri ad altri). E poi rispondiamo con qualche pacato ragionamento; ragionamenti che serviranno anche qui. Innanzitutto se è vero, come è vero, che “un buon libro è un buon libro” indipendentemente da categorizzazioni per età e linguaggi – argomento ampiamente condiviso nel settore e utilizzato per dare opportuno risalto alla letteratura per l’infanzia, pure nelle sue forme illustrate, nei confronti di altri settori editoriali – allora lo sarà anche indipendentemente dalla cittadinanza scritta sul passaporto dei suoi autori. La letteratura, per sua e nostra massima fortuna, è cosmopolita.

Pensiamo poi, fortemente, che ogni libro disponibile in Italia sia comunque “italiano”, anche quando il suo autore è straniero. Giacché prima che quel libro possa arrivare sugli scaffali e al lettore accadono alcune cose che investono parte cospicua della filiera dei professionisti (italiani! lo dico per i sovranisti editoriali) del libro: viene letto e valutato da uno o più lettori; viene scelto da un direttore di collana e quindi da un editore; viene affidato e portato in lingua italiana da un traduttore (e qui potremmo aprire una lunga parentesi sull’autorialità in traduzione); viene lavorato e editato da uno o più redattori letterari; infine viene composto e impaginato da redattori grafici e direttori artistici (pensate alle esigenze speciali di certi albi illustrati); poi rivisto e emendato da correttori di bozze e redattori; infine viene affidato (non sempre in Italia, ma in una buona maggioranza di casi sì) agli specialisti della stampa e della legatura. Il ragionamento vale sempre, a maggior ragione per il Premio Andersen che, ricordo, è nella sua declinazione in categorie un riconoscimento all’editoria per l’infanzia e ai suoi professionisti, e non esclusivamente alla letteratura d’espressione italiana o all’illustrazione italiana; questi due ambiti, peraltro, sono valorizzati in seno al Premio da riconoscimenti dedicati: Miglior Scrittore, Miglior Illustratore, talvolta Miglior Autore completo; ma torniamo al generale.

Torniamo a quelle domande generiche e scivolose enunciate sopra (“perché privilegiare le letterature straniere?”, “perché non valorizzare maggiormente gli autori nostrani?”, “cosa hanno di meno le scrittrici e gli scrittori italiani?’”). Le definivo ingenue, quando non ubbiose, perché affrontano la questione in modo assai parziale, guardando nello stretto. Abbiamo visto, infatti, che la proposta editoriale disponibile al giovane lettore in lingua italiana è definita nelle sue proporzioni da un buon equilibrio tra libri di autori italiani e libri stranieri tradotti. Uno su due, e addirittura due su tre negli ultimi anni, è un libro scritto direttamente in italiano. Bene, allarghiamo al complesso della produzione editoriale, non solo ragazzi quindi, e vedremo che in Italia (paese che accoglie la quasi totalità dei 65 milioni, scarsi, di italofoni; sui 7 miliardi abbondanti di esseri umani) vengono pubblicati oltre 78.000 titoli all’anno (dato AIE, 2019; mentre ISTAT per lo stesso anno ne indica addirittura più di 85.000).

Decisamente un buon numero, oltre un decimo dei ben oltre 600.000 titoli pubblicati in Europa (dato FEP-FEE Federazione degli Editori Europei, 2019); eppure minore rispetto agli oltre 180.00 titoli del Regno Unito e agli oltre 100.000 della Francia, e pressoché uguale ai circa 80.000 della Germania (dati IPA-WPO International Publishers Association-World Intellectual Property, 2018) o ai quasi 90.000 della Spagna (dato FGEE Federación de Gremios de Editores de España, 2019). Solo una porzione dunque, anche senza tener conto delle dinamiche editorie in lingue scandinave e olandesi o, su scala mondiale, delle produzioni di Stati Uniti, Canada e Australia o di paesi come Russia, Cina, India, Giappone, Sud Corea e Brasile. A spanne, ma confortati da diverse statistiche nazionali e internazionali, possiamo dire che ogni anno nel mondo vengono pubblicati oltre 2.200.000 nuovi libri; quasi un quarto viene dai paesi anglosassoni e quindi, tenendo conto della scarsa incidenza di traduzioni in quei paesi, da autori in larga misura di lingua inglese. Ispanofonia e francofonia, perfino germanofonia, fanno la loro parte nel proporre letteratura a livello globale; i già ricordati paesi scandinavi (Svezia, Norvegia, Danimarca, addirittura Islanda) così come le industrie culturali del nederlandese (Paesi Bassi, Belgio fiammingo) pure, grazie a politiche di sostegno alle traduzioni. Insomma la produzione editoriale fatta in Italia, e per giunta originale in lingua italiana, è una goccia nel mare; con percentuali a una cifra sull’offerta globale.

Il fatto che invece nel nostro paese la letteratura di lingua italiana rappresenti, legittimamente e giustamente, oltre il 50% della disponibilità dei libri per ragazzi ci parla di una molteplicità di occasioni offerte alle lettrici e ai lettori; ché potranno scovare libri sia creati vicinissimo sia provenienti da lontanissimo, libri che si inseriscono nella storia linguistica, letteraria e culturale italiana e libri che consentono di incontrare altre culture e tradizioni letterarie. Infine, questo sciorinare di numeri dovrebbe dirci qualcosa a proposito dell’opportuna selezione editoriale e offrirci ulteriore risposta ai quesiti su esposti. I libri che arrivano dall’estero – circa 9.700 (dato AIE, 2019) o 11.000 all’anno (dato ISTAT, 2019) su oltre 2.000.000 della produzione estera globale – sono giocoforza i migliori tra gli stranieri, sono già una severissima selezione, sono appena il 0,5% dell’esistente. Sono quelli che si sono imposti sui mercati d’origine; che hanno coinvolto lettori altrove; che hanno vinto premi nazionali e internazionali; che, perché no, hanno già ampliamento venduto in giro per il mondo.

Libri, insomma, dalla consolidata fortuna o dal riconosciuto nome dell’autore; tali, quindi, da giustificare legittime aspettative in fatto di qualità; e che comunque dovranno ancora cimentarsi con il gusto dei lettori e dei critici del paese d’arrivo. I libri di autori italiani invece sono tutti quelli che escono; quelli più riusciti e quelli meno, quelli di intima meditata scrittura e quelli di frettolosa confezione su commissione per adattamenti e riscritture o per affrontare il tema del momento; normale quindi che la selezione avvenga, ancor più che per gli stranieri, anche a posteriori: nell’incontro con i lettori, al vaglio della critica e nel confronto con l’editoria internazionale. L’esito in Italia, qualità riconosciute dalla critica e fortuna tra i lettori, non può quindi, giocoforza, rispettare le proporzioni della proposta (sia essa della metà o addirittura di due terzi rispetto ai titoli tradotti).

Così è del resto per tutte le letterature non egemoni e in tutti i mercati editoriali. Specificatamente, per quel riguarda gli autori italiani, basterà enumerare le scrittrici e gli scrittori per ragazzi in lingua italiana che abbiano una significativa presenza di traduzioni in cataloghi del mondo anglofono e francofono; saranno sufficienti, se non in avanzo, due mani. In definitiva, le questioni intorno a rappresentanza, rappresentatività e rappresentazione della letteratura italiana all’interno dell’editoria ragazzi sono forse, se solo quantitativamente affrontate, un falso problema. Più pertinente sarebbe, ed è tema toccato da Carla Ida Salviati nel suo recente Nuovi autori italiani per ragazzi (Bibliografica, 2021), ragionare su specificità e distinguo che connotano la creazione letteraria degli autori italiani, pure in relazione alle richieste del mercato editoriale nazionale (ruolo degli editori e del pubblico adulto mediatore di lettura), rispetto alle creazioni letterarie provenienti da altre culture e editorie. Nel caso, potrà essere occasione di approfondimento e dibattito, andranno tenute in conto anche le dimensioni del mercato, le tirature medie, la questione dei diritti e il conseguente meccanismo di pressione, talvolta pure narcisisticamente autoassunto, che fanno sì che a fronte della decina scarsa di titoli per decade di un affermato autore anglosassone, un autore italiano della medesima visibilità e qualità potenziale (vale anche per diversi insigniti del Premio Andersen) si trovi a sfornare, nello stesso intervallo di tempo, una trentina, una cinquantina o addirittura una settantina di nuovi libri. Non tutto potrà essere di una qualità capace di valere l’attenzione di pubblico e critica. Per fortuna le autrici e gli autori italiani, al netto di tutti questi ragionamenti, scrivono (anche) buoni e ottimi libri. E per farlo non serve sventolare provincialissime bandiere d’orgoglio patriottardo.

 

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