dall'Archivio

Oplà: 20! di Martina Russo

Al Palais Mamming di Merano per i vent’anni dell’Archivio Oplà, un percorso di studio, raccolta e laboratori con le scuole

Il senso di un percorso espositivo ben costruito, lo dice la parola stessa, consiste nella capacità di creare un vero e proprio sentiero lungo il quale il visitatore è guidato da quel- la stessa sorpresa e curiosità che ha animato chi ne ha curato lo svolgersi tra sale e collezioni. Se poi la mostra – ché di questo si tratta – è diretta emanazione di un progetto con radici ben salde e competenze ormai solide, l’effetto di tale coinvolgimento è impattante e immediato. È quanto succede in casi come la mostra Ó.P.L.A.2.0 – 20 anni di libri d’artisti per bambini, che, con l’obiettivo di celebrare i venti anni dell’Archivio Oplà, ne ha messo in mostra i più bei libri raccolti in questi due decenni, in un allestimento curato insieme alle Edizioni Corraini e Martina Dandolo all’interno del Palais Mamming Museum di Merano, in un dialogo affascinante con la collezione permanente. La mostra è rimasta aperta fino al 6 gennaio, ma quello che preme mettere in rilievo, non è tanto e solo la bellezza delle opere esposte, quanto l’idea espositiva alla base, frutto di un lavoro di squadra e di un passaggio delle competenze che viene da vent’anni di messa a punto. L’Archivio Oplà, che è un fondo speciale della Biblioteca di Merano, ricerca, raccoglie e cataloga dal 1997 i libri realizzati dagli artisti rivolti ai lettori bambini e vanta ad oggi una collezione di circa ottocento titoli per centocinquanta autori. Libri particolari, opere d’arte dunque, dove l’intervento dell’autore si rivela fin dalla scelta dei materiali da utilizzare, a quella del formato, dell’impaginazione o della rilegatura. Questi libri, come si diceva, sono stati esposti insieme alla collezione permanente del Mamming, che è un museo etnologico fortemente con- notato e principalmente dedicato alla storia della città di Merano, dalle origini ad oggi. Come far parlare Lionni, Munari, Luzzati, Mari con reperti archeologici, picche e lance, suggestioni asburgiche in tema di architettura, abbigliamento, di usi e costumi?


La risposta risiede in quella che è poi una placida invasione delle teche e delle sale, condotta con sorniona eleganza e accostamenti inaspettati, che portano il visitatore, ad esempio, a muoversi tra i Prelibri di Munari nello spazio dedicato alla preistoria meranese o a sfogliare Sulla spiaggia ci sono molti sassi di Lionni tra la collezione di pietre e fossili. “È stato un intervento massiccio e molto invasivo, possibile solo grazie alla collaborazione con il Mamming che, per la prima volta, ospitava una mostra all’interno della permanente. Abbiamo spostato i quadri, aperto le teche, tolto gli oggetti: la mostra poteva ave re senso solo nel dialogo tra le due collezioni, che dovevano aiutarsi l’un l’altra” spiega Umberto Massarini, direttore della sezione italiana della Biblioteca di Merano. Tra numeri e lettere – sulle antiche strumentazioni di misura o sulle pagine dei moderni alfabetieri -, insegne delle corporazioni e porte medievali il cui spioncino incornicia la giraffa munariana di Toc Toc, si arriva ad osservare, nella teca dedicata agli abiti tipici del territorio nel periodo asburgico, i personaggi del Piccolo Teatro Alfabetico di Paul Cox, anch’essi in posa sulle mensole (realizzate dalle stesse maestranze comunali, che si sono prestate subito al gioco) rigorosamente tinte di blu. È questo, infatti, il colore che contraddistingue la contaminazione che rende le due esposizioni – quella permanente e quella temporanea – parlanti, ma subito distinte sotto lo sguardo di chi visita il Museo. Una soluzione espositiva che certo stuzzica il visitatore, lo conduce spontaneamente a scoprire connessioni e a trovarne di nuove e che oggi è sempre più sperimentata, proprio nell’ottica di rendere la visita esperienziale e interattiva. Ne è un esempio recente anche la mostra Pompei@Madre al Museo Madre di Napoli, dove i reperti archeologici di Pompei dialogano con opere d’arte contemporanea.

L’idea è ovviamente quella di coinvolgere il pubblico più ampio e variegato possibile, ma anche di innescare cortocircuiti di pensiero e, certamente, mantenere saldo il legame con il territorio. È quanto afferma anche Marzia Corraini, la cui casa editrice affianca Oplà da vent’anni: “La nostra idea intorno al progetto, come intorno a tutti i progetti che facciamo fuori dalla casa editrice, è quella di lavorare sulla qualità, ma anche capire qual è il territorio nel quale stiamo lavorando, offrendo una consulenza che sia sempre più ’leggera’, costruendo via via delle professionalità che possano lavorare autonomamente”. Ecco, il territorio è l’altro aspetto importante per le attività dell’Archivio, che, insieme a Corraini ha dato vita alla collana “Collezionare Merano” ed è promotore di una serie di iniziative intorno ai libri d’artista, finalizzati all’incontro tra lettori e autori: “All’interno della mostra abbiamo voluto raccontare anche le attività svolte con le scuole, con una serie di scatti che ritraggono i bambini all’opera, ma anche i risultati dei singoli incontri con gli artisti” racconta Massarini. “I laboratori con le scuole ci permettono di radicarci nel territorio, parallelamente alla circolazione del patrimonio dell’Archivio che è giocoforza nazionale e internazionale. Ogni anno si organizzano qui a Merano laboratori di tre giorni in cui vengono coinvolte le scuole di ogni ordine e grado e artisti che lavorano con loro come se aprissero le porte del loro laboratorio”.
“Non si tratta di didattica museale, ma di un approccio diverso con gli artisti” aggiunge Marzia Corraini. “Quando arrivano qui alcuni degli artisti non hanno mai fatto nulla con i bambini, ma accettano di mettersi alla prova e lavorano come se fossero in studio: le classi vanno via con un’esperienza eccezionale, ma anche gli stessi artisti ne escono con un bagaglio in più. È quanto, negli anni, è accaduto a giovani affermati, ma anche a gran- di come Eugenio Carmi, Michelangelo Pistoletto, Tino Stefanoni”. Pochi dubbi: chi ci racconta il progetto, mostra quell’entusiasmo che c’era parso di scorgere tra le sale del museo, brillante tra le teche invase. E se la mostra per i vent’anni ormai è chiusa, non resta che aspettare i prossimi appuntamenti – si annunciano novità per la sede dell’Archivio – per scoprire le pagine d’artista più intriganti, magari in un nuovo percorso fatto di inaspettati cortocircuiti. 

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