L'ARTICOLO DEL MESE

Dimmi quel che mangi di Emanuela Bussolati

Il cibo come esperienza e opportunità di condivisione per bambini e genitori. Senza il timore di incorrere in cattive abitudini.

img_maggioPatata o pomodoro? È la domanda che Jamie Oliver, famoso cuoco, conduttore di trasmissioni televisive e promotore di una campagna di rieducazione alimentare, pone ai bambini di una prima elementare (Il video online su http://youtu.be/bGYs4KS_djg). I bambini non sanno rispondere. Saranno bambini di città, pensiamo. Non lo sono. In molte delle nostre scuole sia in città, sia in campagna, i bambini avrebbero avuto lo stesso sconcerto. La spesa la facciamo noi grandi e spesso portiamo a casa cibi pronti che lasciano indifferenti i bambini o li attraggono per forma e colore anche quando è evidente che non sono tanto sani. Eppure da secoli sappiamo che siamo quello che mangiamo. Il corpo parla chiaro. Ma sul tema del cibo e del corpo quanto si dice, si fa, si gioca, nelle scuole e a casa? Pochissimo.Così poco che a volte non si distingue una patata da un pomodoro e non si collega la carie con lo zucchero. Il piacere del neonato che succhia al seno si trasforma via via in una consuetudine priva di meraviglia o malata di eccessi. Il cibo, manipolato e preparato da altri, viene portato a tavola, spesso di fretta, parlando d’altro. “La mamma ha fatto gli gnocchi” si dice, nelle situazioni più fortunate. Si divorano gli gnocchi e tutto finisce lì.
A sapere che oltre ad essere nati per leggere, per la musica, per la natura, siamo nati anche per nutrirci (e non a caso la parola nutrire appartiene sia al cibo, sia alla cultura), gli gnocchi si preparerebbero tutti insieme, grandi e bambini, la domenica, quando c’è un po’ più di tempo. Si sperimenterebbe allora l’interesse e la gioia di piccolini di 18 mesi che tuffano le mani nella farina e la spiaccicano appassionatamente sul passato di patate o di “grandoni” di tre anni che fanno la biscia e tagliano gli gnocchi con la serietà di chef. Non ci sarebbero dubbi sulla differenza tra una patata e un pomodoro. Verrebbe istintivo portare alla bocca l’impasto, assaggiare, esprimere il proprio gradimento, chiedere ai grandi perché gli gnocchi si devono cuocere, che sono già tanto buoni crudi. E poi, chi ha inventato gli gnocchi? Perché si rotolano sulla forchetta? A cosa servono le righe? E se mettessimo un sughetto, cambierebbero sapore? Tante domande che, accompagnando l’allegria di un momento che coinvolge occhi, naso, bocca, mani e gestualità, aprono i sensi e la curiosità verso temi che vanno dalla percezione immediata alla storia dell’Uomo, alle cucine del Mondo, all’infinito sapere che sempre si sviluppa da qualsiasi infinitesimo.Vogliamo rinunciare ad offrire e offrirci questa opportunità così significativa?
“Chi gioca a tavola e fischia a letto è un matto perfetto”, diceva mio nonno e in questo modo mi etichettava da borderline. Non so se ho raggiunto la perfezione nell’essere matta ma certo mi sono applicata molto, sia nel giocare a tavola, sia nel fischiare a letto (ottimo posto per esercitarsi). Giocare e pasticciare col cibo è una cosa che inorridisce i grandi (il libro dei giochi a tavola mi è rimasto nel cassetto perché si pensava che sarebbe rimasto negli scaffali) ma infine è anche così che si impara la consistenza di un boccone, la plasmabilità di un risotto, la forma di una fragola… e si prova a portare alla bocca un cibo sconosciuto. Vogliamo rinunciare a fare del cibo un’occasione diversa da una prova di forza stile “Mangia! No, io no”?
Il cibo non è una disciplina (impara a stare zitto), non è un obbligo (non attraversare senza guardare), non è atto persuasivo (è bello tagliare i capelli) ma è un piacere condiviso… come la lettura di un libro, un abbraccio, una canzone cantata insieme. Naturalmente ha le sue regole, come fare una torre di cubi. Vuoi che stia in piedi? Bisogna appoggiare bene i cubi uno sopra l’altro. Vuoi che tutti mangino con piacere quello che prepari? Prima di cucinare laviamoci le mani. Usiamo gli attrezzi giusti in modo da non farci male. Lavoriamo con cura, organizzandoci… Ad ogni età i bambini possono capire i procedimenti alla loro altezza. Così, come si gattona prima di camminare, si impasta la farina con le patate, prima di imparare a fare la biscia da tagliare a pezzetti. Provare con le mani la consistenza di una banana, della mela grattugiata, del riso… fa parte della comprensione del mondo. Il bambino esplora, dando risposte a domande irrinunciabili:“Come funziona questa materia?” “Che odore mi mette nel naso?” “Che sapore mi porta in bocca?” “Che espressione fa fare al papà o alla mamma o alla maestra?”Se a quest’ultima domanda il bambino, che sa benissimo leggere le espressioni, risponde:
“Ansiosa, inorridita, arrabbiata…” abbiamo buone probabilità di renderlo diffidente verso il cibo.
Piacere condiviso dunque significa curiosità e partecipazione verso le scoperte del bambino: disegnare facce nei risotti, innalzare vulcani di puré, separare i piselli dalla carne, per mangiarli poi tutti insieme, sono azioni che non dovrebbero metterci in agitazione ma dovrebbero interessarci come il cook design, cosa perfettamente inutile ma stimolante. Astenersi ansiosi. O meglio, tra le tante ricette che possono preoccuparci, scegliamo quelle che possiamo condividere con i bambini, a seconda della loro età, e che possiamo fare insieme con reciproco piacere. La spesa fa parte di questo gioco. Far scegliere le carote a un neo camminatore, è quasi sempre un successo: sceglierà le più belle, quelle che non hanno segni neri, parti marce e che non sono mollicce. I bambini sono programmati per scegliere il meglio: è una questione di sopravvivenza. In casa si può anche giocare con ortaggi e frutta. Come proponeva Munari, si possono trovare rose nell’insalata ed è sempre sorprendente. E che dire delle camere da semi di un peperone? O della sua buffissima forma, che suggerisce visi con espressioni sempre diverse, come risulta dalle fotografie di un progetto (per il momento inedito) di Massimiliano Tappari, elaborate da Alessandro Sanna? Non è la stessa cosa giocare con la verdura e la frutta di plastica. Non c’è sugo. È un gioco che appartiene al “fare finta di”, non all’esplorare, attività irrinunciabile per un bambino tra zero e cinque anni.Giocare “a fare la pizza” sulla sua pancia lo fa indubbiamente ridere ma quando ha fatto una volta la pizza per davvero, si diverte ancora di più. C’è il fremito di sapere che sapore ha che effetto dà il sale (e da dove viene?), cosa succede quando si inforna e… come si finisce mangiati! Già, dove finisce il cibo? Ecco che si ritorna al corpo, fino ad arrivare alla digestione e all cacca. Che ridere! Oh, che sregolatezza! Avremo allora dei piccoli selvaggi che non accettano le regole della buona educazione? Marcello Bernardi sosteneva che le regole legate al comportamento si assorbono dal comportamento dei grandi, non da imposizioni.
I bambini osservano e analizzano. Possono disperarsi se non è permesso portare sul seggiolone il rinoceronte di peluche in scala 1:1. Ma lo sbatteranno giù con altrettanta convinzione, quando capiranno che o ci sta lui o ci sta il piatto. E di sicuro, se non vedranno i grandi prendere l’insalata con le mani, non gli verrà spontaneo farlo. Mentre se vedranno i grandi fare il pane o i biscotti in casa, di sicuro avranno voglia di mettere le mani in pasta. Pulite, naturalmente perché il rito sarà evidente e i bambini non amano le regole ma i riti sì. Di tutto ciò Federica Buglioni parla con grande passione nel blog bambiniincucina.it, con l’esperienza e la competenza di chi da anni cura laboratori in nidi, scuole dell’infanzia, scuole elementari. Nei suoi laboratori Federica sottolinea i processi di trasformazione del cibo. È curioso versare del granoturco nella pentola e vederne uscire i pop corn, mettere nel forno le formine con l’impasto e tirarne fuori dei biscotti, aprire un’anguria verdissima e scoprire che il sole,dentro, l’ha resa rossissima. Federica, cucinando con i bambini parla delle leggi della natura, come è giusto che sia, visto che il cibo viene da lì e non dai supermercati.
Trasformare comporta attesa e pazienza. Ci viene in mente Linus davanti alla lavatrice che fa girare e girare la sua copertina. Si attende con un po’ di preoccupazione, per avere poi la sorpresa di un profumo e di un gusto diversi da quelli di prima. Tra i diritti dei bambini che Giancarlo Zavalloni mise in evidenza, c’è quello di poter percepire gli odori e i profumi.
Come si trasformerà tutto ciò nella mente del bambino? Ciò che si sperimenta con piacere, porta alla conoscenza e alla cura. Fa sentire partecipi di un mondo che può regalare a piene mani bellezza, piacere, nutrimento. Anche il cibo è esperienza di selvatichezza.

[da ANDERSEN 302, maggio 2013. Scopri il resto del numero qui]

Questo articolo è il secondo della rubrica curata su Andersen da Emanuela Bussolati. Sono stati pubblicati:

Liberi di essere selvatici ANDERSEN 301 – aprile 2013
I giochi in libertà, il contatto con la natura e a le esperienze di selvatichezza
Dimmi quel che mangi – ANDERSEN 302 – maggio 2013
I bambini lasciano il segno – ANDERSEN 306 ottobre 2013
Un riflessione sull’espressione artistica e grafica dell’infanzia
– Giochi in libertà – ANDERSEN 307 novembre 2013
Un piccolo elenco di giochi e luoghi di gioco non disponibili nei negozi, anzi, assolutamente gratis.
Chi essere tu? Crescere, mutare, diventare grandi – ANDERSEN 310 marzo 2014
La fatica bella di crescere e cambiare, a tutte le età. Nel corpo, nello spazio, nelle curiosità, nei bisogni.

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