L'ARTICOLO DEL MESE

Maria Enrica Agostinelli. La fragile amica del colore di Walter Fochesato

Un ritratto di Maria Enrica Agostinelli (1929-1980), maestra dell’acquerello, firmato da Walter Fochesato e pubblicato su Andersen n. 380 – marzo 2021. Sostieni Andersen con un abbonamento!

“Cara, scorata, fragile eppure così colorata Maria Enrica Agostinelli! […] Il suo Barone rampante, tra le altre sue opere, mi è rimasto nel cuore!”

Sulla mia pagina Facebook avevo pubblicato alcune tavole di questa straordinaria illustratrice, annunciando altresì che stavo lavorando a questo articolo. E le righe che riporto poco sopra sono state il commento di Emanuela Bussolati, nome che per i lettori di Andersen non ha bisogno di presentazioni. Devo dire che mi hanno colpito non poco, giacché in queste parole sono state capaci di dar conto di una vita e di un lavoro. Avevo pensato di soffermarmi soprattutto sulla Agostinelli come illustratrice di Gianni Rodari. Ma ho ben presto compreso che questa era altresì l’occasione per parlare di un’autrice che giudico fra le voci più alte dell’illustrazione italiana fra gli anni ’60 e ’70. Di lei, per non pochi anni, si perdono quasi le tracce anche se, per fortuna, il suo capolavoro, in qualità di autrice completa, Sembra questo sembra quello, su cui ritornerò a breve, è stato riproposto, grazie a Donatella Ziliotto, da Salani nel 2002 e risulta ancor oggi a catalogo. Più recentemente poi dobbiamo a Paola Pallottino, nel suo fondamentale studio sulle illustratrici italiane (Le figure per dirlo, Treccani), una precisa e preziosa nota biografica.

La Agostinelli nasce infatti a Varese nel 1929 e muore suicida nel 1980. Ce lo ricorda sempre Paola, citando il libro autobiografico di Michele Mari (Leggenda privata, Einaudi, 2017). Una “sublussazione all’anca, e più afflitta dalle delusioni sentimentali” avrebbero portato alla tragica decisione dell’amica migliore di Iela Mari, altro grande nome dell’illustrazione italiana di quegli anni.

LEGGI ANCHE: Un ritratto di Iela Mari

Enciclopedia della favola. Fiabe di tutto il mondo (Editori Riuniti, 1970)

Di Rodari illustra nel 1964 La Freccia Azzurra per gli Editori Riuniti e, otto anni più tardi, per Einaudi, fra i primi quattro titoli della collana “Tantibambini”, Gli affari del signor Gatto. Ma l’opera in cui sicuramente si esprime al meglio, fosse soltanto per il numero di tavole e disegni, è l’Enciclopedia della favola. Fiabe di tutto il mondo, una ponderosa raccolta di provenienza sovietica curata da Vladislav Stanovsky e Jan Vladislav e portata in Italia sempre dagli Editori Riuniti, nel 1970. Qui l’intervento di Rodari è quello di curatore e traduttore dell’edizione italiana. Un lavoro che Gianni svolge con la consueta professionalità, vuoi per il profondo interesse nutrito verso il mondo della fiabe vuoi per un senso di militanza politica (di fedeltà alla “ditta” diremmo oggi) che contraddistingue tutta la sua vita. Per il resto studi a Brera e un’iniziale formazione nel campo della grafica pubblicitaria la portano ben presto ad un’attiva e fertile collaborazione con editori stranieri (Gran Bretagna, Germania, Svizzera, Danimarca, Stati Uniti…) e nostrani. Orbene non è questa la sede per un’esaustiva ricerca bibliografica che sarebbe peraltro foriera di non poche sorprese.

Il barone rampante (Einaudi, 1959)

Si confronta peraltro con autori quali Italo Calvino (suo un “liquido”, arioso e danzante Barone rampante, di stupita bellezza), Giana Anguissola, Donatella Ziliotto (la prima edizione di Tea Patata) e Lina Schwarz per la riedizione della sua ancor oggi piacevolissima raccolta di versi Ancora… e poi basta! (Mursia) con incisivi e stupefacenti bianchi e neri. Mentre uno dei suoi libri più belli è certo L’albero del riccio, singolare e fortunata iniziativa degli Editori Riuniti che, attraverso frammenti di lettere, facevano conoscere ai ragazzi la figura e l’opera di Antonio Gramsci. Sempre su di un versante “civile” andrà almeno citato Una colomba carica di…, pubblicato da Emme Edizioni nel 1979 e dedicato (con i versi in vero non eccezionali di Michele Mozzati) alla Dichiarazione dei Diritti del Bambino adottata dall’Assemblea Generale della Nazioni Unite.

Il pennacchio (Mursia, 1976)

Raffinatissima acquerellista con una tecnica che possiede in sommo grado e che le permette di emanciparsi ben presto dai condizionamenti della lunga stagione del realismo, saggiando strade nuove. Tutto in lei è all’insegna del colore. Di un colore che diventa immediatamente narrazione e dove la matita quasi sempre scompare anche se alla base vi è una non comune sicurezza del disegno. E basterà vedere, tutto in punta di pennino, un lavoro certamente insolito come le tavole al tratto e a colori per un romanzo fortemente pacifista come Il pennacchio di Carlo Brizzolara, nell’edizione Mursia del 1976.

Vi è nella Agostinelli una radiosa e raffinata festosità che, quand’occorre, diventa contrasto e dramma, poesia e ironia. Un tratto “naturalmente” vigoroso che mai però rinuncia all’eleganza. Talché nulla di più sbagliato nel pensare a suggestioni espressionistiche o a una “pittura pura” alla Derain. Piuttosto un segno morbido e sfumato che dà vita ad una palette ricca di infinite e virtuose variazioni. Talora, in quelle che paiono occasioni minime (come una semplice sovraccoperta) attinge ad una misura vicina all’astrazione, o, ancor meglio, all’informale, dove i volti de I ragazzi di via Pál (Mursia, 1971) diventano veloci e puri tocchi di luce. E molto vi sarebbe da dire per le copertina di un buon numero dei “Martin Pescatore” della Vallecchi (torna nuovamente il nome caro di Donatella Ziliotto).

I ragazzi di Via Pál (Mursia, 1971)

Sono tavole dove (forse ricordando la lezione della “Biblioteca dei Miei Ragazzi” della Salani) l’immagine, attraverso la mediazione del dorso, transita in quarta di copertina, dando così il la a una più ricca scoperta. E bastino i nomi di Astrid Lindgren, Philippa Pearce, Mary Norton. C’è – e torno a Rodari – una lettera che lo scrittore invia il 13 luglio del ’64 ai cari “amici einaudieri, Bollati, Ponchiroli e tutti”. È il consueto capolavoro di umorismo e leggerezza ma a me, adesso, interessano le righe iniziali in cui scrive: “vi mando La torta in cielo: come potete constatare, l’ho fatta copiare da un dattilografo, perché io ormai ero stufo di copiarla e ricopiarla. Ho due copie con me: una mi servirà per qualche rilettura di fino, l’altra me l’ha chiesta Maria Enrica Agostinelli (che illustrò il Calvino Rampante così bene), vuole illustrare la storia per suo piacere ed esercizio”. Se ne può dedurre che Rodari voglia suggerire agli “einaudieri” il nome della Agostinelli? Assolutamente no, lo avrebbe scritto esplicitamente e, d’altro canto, a lui andava bene Munari, come tante piccole ma precise testimonianze e indizi confermano. Più semplicemente dimostra la stima e l’amicizia reciproca che di certo esisteva fra la Agostinelli e lo scrittore, così come fra lo stesso Munari e l’illustratrice che sempre per la collana “Tantibambini”, da lui ideata e diretta, realizza una delle sue opere più riuscite: quel Cappuccetto Blu che si pone in diretta, imprescindibile continuità con gli altri cappuccetti munariani (giallo, verde e bianco). Un Munari che, ovviamente, su questo versante, non aveva bisogno dei suggerimenti di Rodari.

Piuttosto nel 1968 per l’editore Morano di Napoli Gianni inizia a curare una collana per ragazzi (I libri dell’elicottero) che accompagna con brevi ma succose postfazioni che sarebbero tutte da riscoprire e indagare. Uno dei titoli è La volpe gialla di Gyorgy Vegh, con solari e cristalline tavole della Agostinelli. Vi è poi da dire e meriterebbe ben più attente analisi del Sembra questo sembra quello edito da Rosellina Archinto per Emme Edizioni nel 1969. Si tratta di un piccolo albo che ho sempre amato moltissimo e letto decine e decine di volte a piccoli e grandi ed è soprattutto con i primi, a dire il vero, che ho ricavato non poche lezioni attorno alla non facile arte di guardare le figure. Ecco non ho nessuna difficoltà nell’affermare che si tratti di un libro profondamente rodariano: il gioco delle anticipazioni e delle ipotesi, l’attesa e la sorpresa, la rima e l’assonanza, la strada verso il necessario decentramento, l’elogio dell’errore, l’invito a ragionare con la propria testa. Al tempo stesso un risentito ed esplicito finale “politico” (in realtà le virgolette neppure sarebbero necessarie). Certo frutto dei tempi ma che mantiene tutta intatta la sua urgenza e attualità. Il signor Ivo “par buono” ma invece dietro le spalle e al suo aspetto elegante nasconde un bastone (anzi io lo definisco sempre un manganello). Invece il signor Tono, così trasandato e poco rassicurante, dietro le spalle cela un magnifico fiore. Perché:

“Sembra questo, sembra quello…/ sembra brutto, invece è bello,/ sembra un cesto, ma è un cappello,/ sembra un monte, ma è un cammello…/ L’importante è di capire/ che si può sempre sbagliare,/ e che spesso non vuol dire/ quel che sembra e come appare”.

 

 

Sostieni la rivista Andersen: sottoscrivi o rinnova un abbonamento.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è banner-newsletter.gif