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La tigre di carta di Vanessa Roghi

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Questo articolo, parte della rubrica per l’anno rodariano, è pubblicato su Andersen n. 370 – marzo 2020. Sostieni la rivista con un abbonamento!

Rodari e i mezzi di comunicazione di massa: strumenti di reazione creativa

Quando ero bambina mia zia Grazia mi leggeva una filastrocca di Gianni Rodari che si intitolava Teledramma. Me la leggeva perché anche io, come il signore della filastrocca, ero affetta dalla stessa malattia: passavo interi pomeriggi attaccata alla televisione, non contenta registravo con il mio registratore i programmi che poi ascoltavo la sera, dopocena, in camera da sola, il sabato compravo i giornalini dei miei eroi della tv, eroi giapponesi.
Gli anni Settanta stavano per finire, da poco tempo erano sbarcati anche da noi Goldrake e Mazinga e Candy Candy: in molti si erano chiesti, proprio come era accaduto dopo la seconda guerra mondiale a proposito dei fumetti americani, se questa nuova invasione di esseri fantastici provenienti dal Giappone non fosse in qualche modo dannosa per i bambini che stavano crescendo.

Il decennio era iniziato con la bomba di Piazza Fontana e si stava per chiudere con quella alla stazione di Bologna. Ma gli adulti, seriamente, pensavano che il nostro problema, di noi bambini degli anni Settanta, fossero i cartoni animati giapponesi.
Un gruppo di genitori di Imola aveva preso la faccenda così sul serio da scrivere una lettera al presidente della Repubblica al ministro delle Telecomunicazioni, a quello della Pubblica Istruzione, al direttore e alla commissione di vigilanza.
In questa lettera si diceva:“I ragazzi non salutano più, quando ti incontrano ti sferrano un pugno atomico nello stomaco/ Impersonano gli eroi dei telefilm e si esprimono solo a base di bing, bang, smash e crash./ I ragazzi sono plagiati: i supereroi riempiono temi e disegni./ I bambini anche per la latitanza degli adulti non hanno gli strumenti della decodifica e il risultato sarà “un ragazzo chiuso in se stesso, egocentrico e aggressivo, che parla soltanto con il televisore e non con i coetanei, che imposta i suoi rapporti con i genitori sulla prepotenza e il capriccio, perché ha imparato la lezione di Goldrake”.

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Era l’8 aprile 1980, Gianni Rodari sarebbe morto il 14 di quel mese, ma aveva fatto in tempo a difendere anche Goldrake. Una difesa che stringe il cuore, ancora oggi, ripensando a quanto aveva fatto, e detto, e scritto il nostro meraviglioso poeta, per spiegare a tutti che i mostri finti erano molto meno pericolosi di quelli veri, errori in blu semmai, con i quali giocare, materia prima, per inventare storie nuove, elementi di una nuova Fantastica. Aveva detto, sui nuovi cartoni animati giapponesi:

«solitamente di queste trasformazioni si mettono in luce solo le conseguenze negative; non so perché ma non siamo mai oggettivi nei confronti del televisore, forse perché lo subiamo talmente e la nostra lotta quotidiana col televisore è così impegnativa che siamo portati a vederne solo l’aspetto negativo».

Rodari, da tempo, aveva fatto suo il punto di vista di Tullio De Mauro che non si stancava di ripetere: «Io non credo che sia giusto parlare di un impoverimento del linguaggio dei giovani credo che sia una via pericolosa, qualunquista ma soprattutto sbagliata anche se qualche volta viene da posizioni ideologicamente di sinistra che non capiscono bene la sostanza della questione. In verità i mezzi di comunicazione di massa (e non significa assolverli da qualunque peccato, tutt’altro) i mezzi di comunicazione di massa hanno aperto l’accesso a una quantità enorme di informazioni alle giovanissime generazioni».
Neppure gli scimmiottamenti dei bambini dei gesti visti in tv devono spaventare, non sono per forza un plagio, scrive Rodari:

«Il bambino ha visto sicuramente alla T.V. la pubblicità di una ditta di caramelle in cui compaiono due mani che vengono battute l’una contro l’altra e poi si allontanano mentre, tra una mano e l’altra, compare una scritta: il nome della caramella reclamizzata. Il bambino ha ripescato quel gesto nella memoria e se n’è servito in modo originale e personale. Ha rifiutato il messaggio pubblicitario, ha accolto quello implicito e non voluto, non programmato: il gesto che misura la lunghezza delle parole. Non si può mai essere sicuri di quello che un bambino impara guardando la televisione. E non si deve mai sottovalutare la sua capacità di reagire creativamente al visibile».

Reagire creativamente al visibile. Un tema centrale nella riflessione linguistica e pedagogica di Gianni Rodari che la televisione in qualche modo ha reso plastico, tangibile, concreto. Se la fantasia è un posto dove ci piove dentro, scriverà Italo Calvino nella sua lezione sulla Visibilità pochi anni dopo, niente di più facile che identificare la fonte delle immagini televisive piovute nella mente dei bambini. Niente di più facile per chi, non considerando spazzatura simili linguaggi, si dà pena di conoscerli e di entravi in relazione, siano Rischiatutto o Lascia e raddoppia negli anni Cinquanta, o il Trono di spade e Harry Potter oggi.
“Di recente, in una scuola media, abbiamo formulato insieme, io e i ragazzi, questa domanda: ‘Che cosa succederebbe se un coccodrillo si presentasse a Rischiatutto?’ Essa si è rivelata molto produttiva. È stato come scoprire un nuovo punto di vista per guardare la T.V. e per giudicare la propria esperienza della televisione. (…) Non siamo più nel nonsenso, mi pare. Siamo, nel modo più evidente, all’uso della fantasia per stabilire un rapporto attivo con il reale”.

Il rapporto attivo con il reale è uno dei punti di forza della pedagogia del Movimento di cooperazione educativa che Rodari ha incontrato fin dagli anni Cinquanta. L’esempio più nitido lo offre Mario Lodi quando scrive: «Fa freddo nell’aula senza sole e siamo usciti a riscaldarci un po’ ma lo spazio del sole è piccolo e sempre occupato così tornati in classe i ragazzi hanno inventato questo problema: nel nostro cortile c’è pochissimo sole e noi bambini, durante la ricreazione, andiamo là a scaldarci. Oggi alle ore 11,15 cioè quando ce n’è di più, Stefania, Luciano e Claudio l’hanno misurato: la striscia era triangolare, lunga m. 9,40 e alta cm. 58. Trovate l’area della striscia di sole che abbiamo per scaldarci».
Ora la realtà può essere il sole, la scuola, il campo, gli alberi, come avrebbe voluto don Lorenzo Milani, ma, aggiunge Rodari, in questo più lucido di tutti, la realtà non è fatta soltanto di pane, ci sono anche le rose, quell’universo fantastico che il bambino assorbe attraverso i fumetti il cinema i programmi della radio e poi anche della tv. L’adulto ha il compito di creare un’alternativa critica all’ascolto puramente passivo dei programmi: «non c’è praticamente trasmissione televisiva che non possa es- sere usata come materia prima (…) basterà l’accostamento tra i personaggi del teleschermo e un personaggio incongruo: Pinocchio al Telegiornale, la strega allo Zecchino d’Oro, il diavolo al Festival di Sanremo.»

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Fa parte della sua Grammatica della fantasia. Così come della Grammatica fa parte quello che Rodari chiama il «viaggio intorno a casa mia». Un viaggio che cambia nel tempo, così diverso per ogni generazione. «La luce elettrica, il gas, il televisore, la lavatrice, il frigorifero, l’asciugacapelli, il frullino, il giradischi sono solo alcuni tra gli elementi del paesaggio domestico che il bambino d’oggi conosce e che ne risulta tanto diverso da quello che il nonno ha conosciuto, crescendo in una cucina rustica, tra il camino e il secchio dell’acqua. L’idea che il bambino d’oggi si fa del mondo è per forza tutt’altra da quella che se ne può essere fatta, da bambino, il padre stesso da cui lo separano pochi decenni. La sua esperienza lo mette in grado di compiere operazioni diverse. Forse anche operazioni mentali più complesse».
Da scrittore, da intellettuale quale è stato, Gianni Rodari non ha mai smesso, fino alla fine, di ricordarci che

«la televisione è una tigre di carta. I bambini da essa prendono quello che vogliono, quello che li interessa. Se hanno altro da fare fanno altro, non rimandano una partita di pallone per la televisione. Rimandano i compiti di scuola questo sì. Ma perché gli danno i compiti invece di creare degli ambienti dove possano fare quello che riguarda la scuola e poi anche giocare, giocare loro a fare il teatro, il cinema, la fotografia, la televisione, invece di essere solo spettatori?».

[Quest’articolo è uscito su Andersen n. 370 (marzo 2020)]. 

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